Anche don Bosco ha utilizzato il concetto di famiglia per tutta la sua opera di ricostruzione sociale. E se essa contiene nuclei simbolici forti è capace di generare futuro». Monsignor Luca Bressan, Vicario episcopale per la Cultura, la carità, la missione e l’azione sociale, ha guidato la delegazione ambrosiana alla recente Settimana sociale che si è svolta a Torino. Un evento che ha segnato un rilancio della presenza dei cattolici nel Paese, che pongono la questione famiglia al centro del dibattito culturale e politico.
Quali sono le idee principali che sono emerse dalla Settimana sociale?
Per il futuro della società, per uscire dal clima di pessimismo e di incapacità di generare, è necessario che la famiglia venga rimessa al centro come risorsa e quindi venga difesa. Da una parte nelle sue prerogative fondamentali: contenere al suo interno la differenza tra i generi, maschile e femminile, e tra le generazioni. Su questo punto ha insistito molto il cardinale Bagnasco nella prolusione affermando che il compito dei cristiani oggi è lavorare per mantenere questa ricchezza, perché se viene meno affonda non solo il cristianesimo e la sua testimonianza. Ma la stessa società italiana e la sua capacità di vivere la solidarietà, l’attenzione di fronte alle emergenze che si impongono a tutti: come l’invecchiamento della popolazione, la capacità di integrare nel tessuto sociale le nuove famiglie immigrate, anche se l’immigrazione nello squilibrio demografico italiano non può essere una risposta a tutto.
La famiglia da sostenere anche per il bene dell’economa del Paese?
Sì, è stato affermato in particolare nell’intervento molto interessante del professor Zamagni, il quale ha sottolineato cosa vuol dire oggi immaginare un’economia che sia a misura della famiglia e che permetta di uscire dall’idea di un’economia basata solo sull’individuo, quasi un individuo astratto. Invece occorre partire dal legame, dall’idea del "noi" che è tipico della famiglia e di calcolare tutto questo. Infatti ha messo in luce che esiste moltissimo Prodotto interno lordo che in realtà non viene calcolato: un 140% in più del Pil da calcolare, tutto il bene prodotto nel sostegno all’interno della famiglia, un capitale sociale che genera oltre agli effetti produttivi (quelli concreti come mandare avanti la casa) una tenuta simbolica del legame sociale e della nazione.
Quali sono le conclusioni emerse?
Far vedere come lo specifico del cristianesimo è utilizzare quello che è il sacramento del matrimonio come luogo di produzione di società, trasformando il sociale. Occorre rilanciare questa idea in positivo e tornare ad avere creatività. C’è proprio bisogno di rinforzare il legame e da questo punto di vista la Settimana sociale ha messo in luce che il cristianesimo ha buone risorse per poterlo fare.
C’è l’esigenza di un rilancio del protagonismo dei cattolici nel dibattito e nell’impegno pubblico, come sollecitato dal Papa in questi giorni…
Certo, non solo nel dibattito pubblico teorico. È necessario certo il livello delle linee, del pensiero progettuale, ma anche di impegno concreto, di aiuto. Ad esempio sugli immigrati, ma anche nella difesa della famiglia tradizionale, senza isteria o acidità, aiutando a capire l’importanza della tradizione.
Qual è la ricaduta della Settimana sociale nella vita della Diocesi di Milano?
La delegazione che ha partecipato si ritroverà: l’idea è utilizzare la Settimana sociale per riaccendere le energie, le emozioni e l’azione sviluppati in occasione del Family 2012. Questo lavoro ha senso se è duraturo, non può durare solo un anno, deve essere qualcosa che viene riseminato secondo il seme della parabola del campo del mondo. Non si tratta tanto di dare giudizi dall’esterno, ma lavorare a un discernimento, a un giudizio dall’interno, ovvero aiutare il seme buono a fruttificare.