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Società

Nuove forme di occupazione

Oggi sono richieste trasformazioni non soltanto all’organizzazione produttiva o alle modalità contrattuali, ma al modo in cui pensiamo il lavoro

di Andrea CASAVECCHIA

3 Novembre 2014
Milano, sportello di  lavoro interinale.

©TAMTAM-Pagliarulo

C’è forte inquietudine nel mondo della produzione. Lavoratori manifestano nelle strade davanti alle loro aziende per chiedere una sicurezza per il futuro, mentre le loro imprese prospettano la chiusura; si avanzano proposte legislative che introducono regole nuove per migliorare le condizioni dei precari, ma ridurne per altri; si assiste alla crescita contemporanea dei tassi di occupazione e di disoccupazione, che gli statistici spiegano come un fatto naturale quando diminuiscono le persone inattive che il lavoro lo tornano a cercare.

Lavorare è diventata questione sensibile nel nostro Paese e acquista nuova forza nel sentimento popolare il valore del lavoro. Innanzitutto come mezzo per il sostentamento, perché ci siamo accorti, in particolare i nostri giovani, che non si riesce a vivere di lavoretti; poi c’è la precarietà che non offre prospettive di futuro e incide sulle aspettative di maternità di molte donne, quelle che più di ogni altro non riescono a inserirsi dentro un percorso lavorativo stabile.

D’altro canto nascono nuovi ambiti di lavoro con il ritorno dell’agricoltura nei formati bio e hi-tec, con l’avvento di nuove forme organizzative, come il co-working, che permette a singoli “free land” di lavorare in spazi condivisi e così scambiare contatti, esperienze, professionalità.

Attraversiamo un periodo di forte cambiamento e fatichiamo a trovare un orientamento. Ci accorgiamo che il mondo produttivo, così come si era sviluppato fino a ieri in Italia, non riesce più a fornire le stesse garanzie. Gli esperti dicono che per il futuro serve la proiezione verso l’innovazione dove prima c’era ripetitività; serve l’apertura alla formazione continua, dove prima c’era l’attenzione al rispetto di una mansione.

Il nostro tempo richiede trasformazioni non soltanto all’organizzazione del lavoro o alle modalità contrattuali, ma al modo in cui pensiamo il lavoro, perché il lavoro è anche attività di senso che acquista importanza nella misura in cui genera società, oltre che profitto. Il lavoro serve a ognuno di noi e alla nostra comunità perché con esso costruiamo il bene comune.

Nel guidare la transizione è altrettanto importante tener a cuore lo stretto legame tra lavoro e cittadinanza. Perché un lavoro povero o un lavoro sottomesso produce una contrazione dei diritti. Anche a livello culturale si perde un legame diretto che prima era presente e fortemente radicato tra lavoro e cittadinanza, perché «quando si erodono i diritti, le persone sono schiacciate dal bisogno di lavorare. Si aprono vie per trascurare le norme, per rendere accettabili condizioni precarie, lavoro nero, lavoro sommerso. I costi si caricano sull’individuo, sulla famiglia e sulla comunità»come hanno scritto le Acli nel loro manifesto “Per una nuova società del lavoro”.