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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Intervista

«Nord, non sottovalutare il fenomeno-mafie»

A colloquio con Gianni Solino, autore de “La Buona Terra”: «Non fate lo stesso errore che abbiamo fatto al Sud»

di Silvio MENGOTTO

20 Ottobre 2011

Mercoledì 19 ottobre, presso la Fondazione Lazzati di Milano, è stato presentato il volume La Buona Terra. Storie delle terre di don Peppe Diana, di Gianni Solino (La Meridiana, 14 euro), uno dei coordinatori di Libera. L’evento è stato curato dal Servizio per la Pastorale Sociale e il Lavoro della Diocesi di Milano, Azione Cattolica Ambrosiana e Libera Lombardia. Insieme all’autore erano presenti don Walter Magnoni, responsabile del Servizio per la Vita Sociale e il Lavoro della Diocesi di Milano, e Lorenzo Frigerio, responsabile di Libera Lombardia.

Un libro testimonianza, ma anche un resoconto della vitalità sempre meno sommersa delle “terre di don Peppe Diana”, il prete ucciso dalla camorra nel giorno del suo onomastico. Un omicidio pensato per mettere a tacere lui e le coscienze di quanti accanto a lui cominciavano a reagire. Le terre di don Peppe sono i luoghi dove il volontariato organizzato e le scelte quotidiane dei singoli cercano, sperimentano e organizzano opportunità di lavoro diverse da quelle offerte dalla criminalità. Non basta consegnare nelle mani della giustizia i boss, confiscarne i beni e darne notizia: bisogna costruire l’alternativa. Il potere che deriva dal denaro facile garantito dai boss in quelle terre ha corrotto la politica, ristretto gli orizzonti culturali, dilapidato il territorio, sfilacciato il sistema sociale. Il libro di Solina è un inno alla resistenza iniziata tanto tempo fa da don Diana e oggi sostenuta da Libera. Abbiamo intervistato l’autore del libro.

Questi racconti di vite vissute dicono che il Sud non è solo camorra e sporcizia, ma anche un cammino positivo, concreto, fatto di speranza…
Credo di sì. In questi anni siamo riusciti a risalire la china con un impegno importante. Ovviamente in ogni territorio c’è stata una particolarità, una storia. Noi siamo andati sulle orme di don Peppe Diana, che è stato il nostro simbolo di questo riscatto, di questa lotta contro la camorra per una cultura diversa della legalità. Che significa un’economia diversa perché nessuno si illude di combattere la camorra semplicemente con un libro, un film o una cultura diversa se non si cambia l’economia. Questo perché l’economia criminale è il motore che sta alla base del dominio dei clan.

Quali sono le dimensioni criminali del dominio della camorra?
Spesso le persone pensano che il dominio sia solo un fatto militare, di terrore e paura. Questa componente è fortissima, non c’è dubbio. Senza la componente economica, del lavoro, della ricchezza, degli imbrogli, degli affari che i clan sanno intessere con la società civile, con gli imprenditori, le ditte individuali, i professionisti, la politica e le amministrazioni locali, il clan non avrebbe alcuna capacità di dominare, controllare un territorio. Le armi e il terrore sono uno degli strumenti delle mafie, ma quello più forte è l’economia. Rispetto a questo abbiamo intrapreso una strada nuova e alternativa: costruire comunità sane e solidali che fanno economia anche sui beni confiscati alla mafia.

Questo libro presentato a Milano è di forte attualità, perché da tempo le varie criminalità mafiose sono presenti anche in Lombardia…
Quando vado nelle città del Nord, con un certo vigore dico sempre di evitare l’errore che abbiamo commesso noi al Sud

E cioè?
Sottovalutare il fenomeno. Quando ero ragazzo, trent’anni fa, la camorra era già forte e presente a Casal di Principe. La politica, che aveva responsabilità, l’economia e l’impresa tendevano a sottovalutare il fenomeno, dicendo che era solo un fatto di arretratezza e che la modernità avrebbe superato il problema, ignorando che si stava costruendo un impero economico-criminale destinato a devastare e dominare il territorio. Questa sottovalutazione ha concesso molti anni di vantaggio nella corsa che istituzioni, Stato e società civile stanno affrontando. Bisogna evitare di fare lo stesso errore.

Lei vede segnali preoccupanti a Milano?
Già vedo i segni di questo errore anche qui a Milano. Non tanto tempo fa il prefetto ebbe a dire che la mafia a Milano non ha attecchito. I dati ci dicono che Milano è la quarta area del Paese per numero e quantità economica dei beni confiscati alle mafie. La differenza tra la Lombardia e la Campania, Corleone e Reggio Calabria, è che a Milano ci sono tutte le mafie, da noi ce n’è una alla volta. A Milano c’è un concentrato che rischia di essere esplosivo e pericolosissimo. Il rischio è attualissimo.