La vittoria del Pd di Renzi alle elezioni europee ha posto, tra gli altri, anche quesiti sulla permanenza o meno del “cattolicesimo sociale” nel nostro Paese, oltre che sulle modalità della sua presenza. Su questo tema ecco l’opinione del sociologo delle religioni Franco Garelli, docente all’Università di Torino e autore di numerosi studi in materia.
È veramente una rivoluzione culturale, oltre che politica, quella avvenuta in Italia con la vittoria del Pd di Renzi?
Indubbiamente si tratta di un grande segnale di discontinuità rispetto al recente passato. La discontinuità più forte è data dal fatto che finalmente non vince la rivendicazione, la protesta, il mandiamoli tutti a casa, la tabula rasa, ma vince chi in qualche modo offre una speranza ragionata. Ciò richiama un po’ tutti alle proprie responsabilità e dice che l’Italia può ripartire. Mi sembra che perlomeno ci sia stato uno scatto di reni della popolazione che vuole crederci ancora.
Quali sono i tratti salienti della visione del mondo del giovane vincitore?
Credo che il tratto principale consista nel suo accettare la sfida, nell’impegnarsi e farlo in modo innovativo. Renzi sta un po’ spacchettando e rottamando le situazioni consolidate, le affronta con uno spirito diverso rispetto al passato, non rassegnandosi e cercando di difendere il protagonismo di chi si impegna. La sua è una visione del mondo molto centrata sulla leadership personale. Ci può anche essere un po’ di narcisismo, ma è tipico della leadership pronunciata.
In molti nel Pd e anche fuori sostenevano che Renzi non fosse “di sinistra”. Ora che ha vinto, magari cambieranno parere. Ma è proprio così, oppure lui incarna una sinistra più abile e intelligente della leadership tradizionale che lo ha preceduto?
Certo la sua non è la sinistra tradizionale, ingessata, delle “garanzie”, la sinistra sindacale in senso forte e compiuto, che non guarda ai meriti, chiusa in alcuni pregiudizi. Certamente lui scompagina quel tipo di ‘sinistra’ in quanto sottolinea anche aspetti quali il carattere obsoleto di certe divisioni destra-sinistra. La nostra situazione è così grave che o la si supera insieme o non si va da nessuna parte. In sintesi direi che è una sinistra libera dalle categorie del passato e che aggredisce il presente.
Renzi viene anche dal mondo cattolico. In che misura si può ritenere – al caso – un “erede” della tradizione cattolica sociale?
Il carattere qualificante del cattolicesimo sociale consiste nel riuscire a individuare i problemi e fare proposte all’altezza della situazione in un dato momento storico, non nel fare una difesa d’ufficio dei principi. Credo che lui lo abbia colto moltissimo. Se andiamo a guardare, ad esempio, le ‘Settimane sociali’, troviamo come alcuni temi siano stati indicati alcuni anni prima di quando poi sono scoppiati. Renzi questo lo ha capito e quindi lo trovo molto adeguato al momento presente. E poi c’è la sua voglia di entrare sulle questioni, di farsi carico, altro elemento forte del cattolicesimo sociale che non è solo denuncia né solo analisi. Lui ci prova, si mette nella mischia.
Tra i fattori della vittoria del Pd c’è sicuramente una parte di consensi cattolici che da Forza Italia e altre formazioni hanno scelto Renzi. Come valuta questa “migrazione” a sinistra?
È una migrazione sull’uomo, sulla proposta, sulla fiducia. In Italia non siamo abituati a sentir dire: «Se sbaglio, vado a casa». La situazione è davvero drammatica anche se, nel dibattito politico, nessuno appare o si è mai dichiarato «responsabile». Renzi ha spaccato questo scenario e si è assunto le responsabilità a viso aperto.
Con l’avvento di Renzi il “cattolicesimo politico” potrà avere un nuovo futuro, oppure, per come lo conosciamo, è destinato al tramonto?
È una questione curiosa, perché Renzi è un cattolico, non lo ha mai negato, anzi ogni tanto lo ricorda. Però in qualche modo non fa della sua ispirazione cattolica un castello. Lui invece affascina o attrae a partire dalle idee, e solo in parte a partire dalla militanza cattolica di lungo corso negli anni giovanili. Non è un attore politico fabbricato in laboratorio o dalle varie scuole diocesane di politica e neanche da raduni tipo “Todi” o simili. La Chiesa era abituata a pensare che chi si impegnava doveva farlo per promuovere i valori cattolici, mentre lui si impegna in chiave pluralistica, per affermare anche istanze tipiche della dottrina sociale cristiana. Questo è un aspetto curioso della sua personalità e dovrà essere seguito.
Infine, lei ritiene che la Chiesa debba ancora svolgere un ruolo di richiamo sui principi contenuti nella dottrina sociale. E se sì, in che modo?
Ritengo di sì, che debba continuare, però rispetto al passato facendo meno appelli, del tipo “giovani politici cattolici cercasi”. Ciò che mi pare importante è creare le condizioni perché si educhi molto, soprattutto a farsi carico dell’impegno in campo politico che è uno degli ambiti più alti in cui si esprime la carità, come ricordava Paolo VI. In questo senso occorre dare più spazio ai laici perché la politica è un campo tipico della testimonianza laicale. Da ultimo direi anche che negli ambienti cattolici bisogna rivalutare l’impegno politico per un altro motivo: perché forse in questi anni si è dato grande rilievo al volontariato e poco alla politica.