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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Motta Visconti

Monsignor Delpini: «Abbiamo bisogno
di silenzio, viviamo in attesa della parola: Pietà, Signore, pietà»

Sabato 21 alle 10 il Vicario generale ha celebrato le esequie di Maria Cristina Omes e dei due figlioletti, uccisi da Carlo Lissi, marito e padre. Il parroco don Giovanni Nava: «Un evento tragico a cui nessuno umanamente può dare una spiegazione. Dobbiamo accendere la telecamera che è in noi, la nostra coscienza»

di Cristina CONTI

21 Giugno 2014
La villetta in via Zingaretti 20, dove la notte scorsa si è consumato il triplice omicidio, a Motta Visconti, Milano, 16 giugno 2014.  ANSA/STEFANO PORTA

Questa mattina alle 10, nella parrocchia di San Giovanni Battista a Motta Visconti (Mi), si sono tenuti i funerali di Maria Cristina Omes e dei suoi due bambini di 5 anni e 20 mesi. A celebrare la funzione, su richiesta del cardinale Angelo Scola, che nei giorni scorsi ha manifestato la sua vicinanza alle famiglie colpite e alla comunità, è stato il Vicario generale della Diocesi, monsignor Mario Delpini: «La tua pietà ripeta per noi la promessa della vita eterna, ci persuada a sperare, ci unisca in un abbraccio che la morte non può spezzare con coloro che amiamo, con coloro che tu ami e sai rendere felici. La vita eterna, la tua vita, diventi la nostra vita, la vita dei nostri cari e generi in noi la fiduciosa persuasione che coloro che hanno concluso in modo così tragico la loro vita terrena, vivono per sempre nell’abbraccio del Padre. Pietà, Signore, pietà».

Una famiglia distrutta in poche ore, lo scorso sabato sera. Carlo Lissi, marito e padre delle vittime, ha confessato il triplice omicidio e adesso è in prigione. Mentre a Motta Visconti rimangono famiglie devastate dal dolore. «Questo evento tragico ha lasciato tutti senza fiato – confessa il parroco, don Giovanni Nava -. Marito e moglie erano giovani cresciuti in oratorio, che tutti conoscevano. Non si può fare a meno di chiedersi come sia potuto succedere? Ma nessuno umanamente è in grado di dare una risposta».

Per il cristiano la via per affrontare queste situazioni è la preghiera. Per le persone che hanno perso la vita, per Carlo che ora si trova in prigione, per le famiglie che hanno perduto i loro cari. «Una preghiera che si faccia strumento di intercessione, di conforto, di maggiore unità e fraternità tra noi», continua don Nava. Anche il dolore innocente, infatti, se vissuto cristianamente può generare frutti di comunione.

L’altra sera, alla veglia in parrocchia, erano presenti circa 4 mila persone, tutte in silenzio. Anche i bambini. Nello sgomento più totale. «È inutile aumentare il numero delle forze dell’ordine o i posti nelle carceri – sottolinea il parroco -. Dobbiamo accendere la telecamera che è in noi, la nostra coscienza. Altrimenti fatti così si verificheranno ancora».

Ragazzi che crescono nell’epoca di internet e dei social network, abituati a esprimere i propri parere con un click su “mi piace” o “non mi piace”, che non hanno il tempo e soprattutto la voglia di pensare e di riflettere. «Se tutto questo vale anche nella vita reale, viene a mancare l’etica della responsabilità. È bello invece coltivare relazioni profonde, avere reti familiari amiche che si confidano e si aiutano tra loro. Nessuno poteva immaginare cosa Carlo avesse dentro di sé, altrimenti si sarebbe potuto fare qualcosa», conclude don Giovanni.