Una delle questioni da affrontare per l’Unione europea è il lavoro per i suoi cittadini, nucleo propulsivo per il loro benessere sociale. Si tratta quindi di una doppia sfida: favorire le condizioni di vita delle persone nei singoli Paesi; legittimare un’istituzione che fatica a essere riconosciuta dalle popolazioni.
Sebbene stiano migliorando gli indicatori della produzione, ritornino positivi i “Prodotti interni lordi”, l’occupazione stenta a ripartire. Proprio il recente Rapporto “Employment and social development, 2013” prende atto della situazione e si pone interrogativi per il futuro. S’indicano tre punti di cambiamento: il ricollocamento delle forze lavoro; la riduzione complessiva dell’occupazione; l’effetto dei trend democratici.
Innanzitutto le analisi dei ricercatori dicono che nei Paesi membri è avvenuto un ricollocamento degli occupati: mentre sono diminuiti i lavoratori d’industria e di agricoltura, aumentano gli occupati nel terziario. Sono, in particolare, due i campi che attraggono impiego: la comunicazione e i servizi alle imprese. Nel settore, tuttavia, la ricerca segnala anche una ripartizione netta: il 56% dei lavori sono knowledge intensive, ad alto contenuto di conoscenza, quindi richiedono e richiederanno in futuro, persone altamente qualificate e molto formate; il rimanente, quasi la metà sarà lavoro di bassa qualifica.
Inoltre il Rapporto individua le principali cause del calo dell’occupazione tra le quali emergono alcune novità: negli ultimi anni sono state il tragico incremento delle chiusure aziendali e le riorganizzazioni interne, che hanno ridotto il numero di occupati per impresa; molto meno incisiva per le cause di disoccupazione è la delocalizzazione degli stabilimenti in altri Paesi. Insomma, le aziende europee dimagriscono e diminuiscono. Quelle, che resistono, sono più produttive.
Infine, i ricercatori dell’Ue cercano di descrivere alcune necessità per il mercato del lavoro nel futuro. I trend demografici, infatti, evidenziano come l’invecchiamento della popolazione porterà nel giro di pochi anni all’uscita dalla popolazione attiva di tutti i nati del periodo del baby boom. A questo si affianca la tendenza all’emigrazione dei giovani. Così se ora vediamo crescere il tasso di disoccupazione, il problema tra dieci anni potrebbe essere la carenza di risorse, soprattutto per le due esigenze di alta e bassa qualifica.
Questi dati evidenziano un fenomeno che si registra in Italia ma che si genera in tutta Europa. La spaccatura in due del mercato del lavoro. Uno dei suoi effetti è la riduzione della classe media, dei ceti popolari. Già la percezione tra gli italiani emerge con evidenzia dato che una ricerca “Demos coop” ci dice che alla domanda: “Secondo lei la sua famiglia a quale classe appartiene?”, mentre nel 2006 il 59,5% rispondeva nella classe media, nel 2014 si colloca in quella posizione solo il 41,1%.