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Economia

Manovra: subito la fase due

L’economista Stefano Zamagni: fiducia al Governo e richiesta di rapido decollo dello sviluppo

27 Dicembre 2011

Il “salva Italia” è legge. La manovra messa a punto dal Governo Monti ha avuto il via libera del Senato e la firma del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Così l’Italia è in condizione di affrontare a testa alta la gravissima crisi europea», ha detto in aula il presidente del Consiglio Mario Monti, invitando gli italiani ad «avere fiducia» e annunciando che la cosiddetta fase due «ora proseguirà a grande velocità». L’economista Stefano Zamagni commenta la legge e le priorità da affrontare.

Prima di Natale il decreto è stato trasformato in legge…
Effettivamente è stato mantenuto l’impegno preso, e questo non è poco per chi conosce i tempi e le modalità di funzionamento del Parlamento. La legge era necessaria e urgente, non era quindi il caso di metterla in discussione. Semmai si può aprire una riflessione sulle modalità per rendere operativo il provvedimento e le scadenze che nei prossimi mesi il Governo dovrà fronteggiare per darvi compimento e “aggiustare il tiro” su determinati fronti.

Ossia?
La discussione non deve riguardare ciò che la legge ha realizzato, bensì quanto è stato sottaciuto. Bisognava fare almeno un riferimento a quelle riforme che reputo urgenti e che, se fossero state annunciate sin dal principio, avrebbero eliminato polemiche talora devastanti, talaltra inutili.

Di quali riforme, a suo avviso, c’è bisogno?
Innanzitutto vi è il mondo del terzo settore, che qui non è menzionato se non di sfuggita. Eppure attende tre riforme urgenti: il libro primo, titolo secondo del Codice civile, ovvero quella parte del Codice che lo riguarda; le leggi su volontariato e cooperazione sociale, che risalgono al 1991 e, dopo vent’anni, necessitano di una manutenzione indilazionabile; il 5 per 1000. A tal riguardo bastava annunciare che il Governo si sarebbe impegnato nel giro di pochi mesi a tramutare in legge ordinaria il provvedimento nato alcuni anni fa per iniziativa dell’allora ministro Tremonti sul 5 per 1000 per rassicurare il terzo settore circa le possibilità del proprio mantenimento. Ripeto, si tratta di provvedimenti della massima urgenza se vogliamo tenere in vita questo mondo oggi ancor più necessario.

Vi è poi necessità di dare impulso allo sviluppo…
Esattamente. Sviluppare significa in senso etimologico togliere lacci e lacciuoli. Non capisco perché non lo si tenga a mente, e invece s’interpreti erroneamente lo sviluppo con provvedimenti di tipo assistenzialistico e distribuzione a pioggia di risorse. Non è così, ma piuttosto è ora di togliere quei lacci che impediscono all’impresa for profit come a quella sociale di decollare.

Quali sono oggi questi “lacci”?
In primo luogo il costo della burocrazia, che continua a determinare perdite di competitività. Bisogna arrivare a una decurtazione degli oneri impropri per chi fa impresa. Secondo, l’attività finanziaria: siamo di fronte a una ristrettezza nella concessione del credito alle imprese, ma senza credito queste muoiono. Nei giorni scorsi la Bce ha concesso della liquidità alle banche italiane: bisogna ora che il Governo vigili affinché questa liquidità venga utilizzata per concedere credito alle imprese, e non per alimentare la speculazione. Infine, per liberare le energie che ci sono bisogna puntare sul capitale sociale, ricostituendo quelle reti di fiducia che in Italia si sono rotte. Evitiamo il perpetuarsi di politiche assistenzialistiche, che danno un beneficio immediato ma tagliano le reti, e senza fiducia non può esserci sviluppo. Fino agli anni Sessanta l’Italia aveva un Pil che sfiorava l’8% annuo, e questo era possibile proprio perché vi era fiducia.

L’invito alla fiducia viene pure dal presidente Monti, eppure sembra che vi sia una recessione alle porte…
La recessione non è dovuta a una minore produzione: non è così, si continua a produrre e a esportare. Piuttosto, è legata alla diminuzione dei consumi: le famiglie, se possono, risparmiano perché prevedono nell’immediato futuro di dover ulteriormente tirare la cinghia.

Proprio la famiglia, come esce da questa manovra?
Qualcosa è stato fatto, ma è ancora troppo poco, e si tratta di misure assistenzialistiche. Penso all’Imu, che per la prima casa riconosce un piccolo sconto in base al numero di figli. Così non basta, bisogna riconoscere la famiglia nella sua soggettività, anche economica. Certo, i sussidi possono essere utili, ma soprattutto servono politiche che armonizzino famiglia e lavoro, che portino a modificare i processi lavorativi affinché il lavoro non vada a detrimento della struttura familiare.