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Società

L’ostinazione di dare la vita

Dall’ultimo Rapporto Istat per l’Italia statistiche sconfortanti sulla natalità: in un anno 20 mila neonati in meno. Ma rimane la speranza nella vita che si nutre del sorriso di ogni nuovo bimbo

di Andrea CASAVECCHIA

2 Dicembre 2014

“Ma cosa vi è passato per la testa?” è una delle reazioni che sente una coppia quando annuncia di essere in attesa di un bambino. Diventare papà e mamma è arduo, semplice forse non è mai stato. Oggi però il contesto è meno incoraggiante. Il clima è tale che raccogliere la sfida della genitorialità sembra quasi testimoniare l’ostinazione di pochi.

Per osservare il panorama, è sufficiente indirizzare lo sguardo sui dati presentati dall’ultimo Rapporto Istat su “Natalità e fecondità in Italia”, nel quale si testimonia il forte calo dei nuovi nati: poco sopra i 514 mila bambini. Si certifica che in un anno i neonati sono diminuiti quasi di 20 mila unità.

La descrizione della struttura demografica del nostro Paese è impietosa: una parte del declino delle nascite è certamente dovuto al progressivo invecchiamento degli italiani, che riduce anche il numero delle donne in età feconda, quelle tra i 15 e i 49 anni; un’altra parte si può attribuire alla posticipazione dell’età al parto, oggi l’età media è di 31,5 anni; si consideri poi che un nato su 8 ha una mamma oltre i 40 anni. Infine c’è un basso numero di figli per donna, dato che il tasso di fecondità è dell’1,39 figli.

Lo scenario in cui ci muoviamo non nasce dal nulla, ha radici socio-culturali precise. Alcune sono indicate nello stesso Rapporto: in primo luogo sul calo incide la diminuzione dei matrimoni; in secondo luogo la riduzione delle nascite è dovuta alla minore presenza nel Paese dei cittadini immigrati che hanno tassi di fecondità più alti di quelli italiani, ancora oggi il 20% dei nuovi bimbi sono figli di immigrati.

Si possono però aggiungere ulteriori elementi. Innanzitutto c’è la questione della condizione giovanile: tra i 18 e i 30 anni degli italiani oltre il 70% vive con i genitori, oltre alla difficoltà di inserimento lavorativo che porta a un’instabilità diffusa che mina le aspirazioni alla genitorialità.

Il mondo del lavoro poi è poco accogliente verso i genitori. Dietro le dichiarazioni di principio, che apprezzano l’adozione di politiche che conciliano famiglia e lavoro, nell’ambiente quotidiano si sperimenta l’astio e la chiusura verso chi esercita il diritto di usufruire dei congedi di maternità o paternità, la scarsa disponibilità a concedere il telelavoro o il part-time, senza considerare l’emarginazione non dichiarata dal mercato del lavoro delle donne che hanno più di un figlio.

C’è infine un sostrato culturale di derivazione sessantottina che propugna una libertà senza vincoli per privilegiare le proprie opportunità e soddisfare i desideri possibili: un atteggiamento favorire del rimando ad altri tempi della genitorialità.

Nel clima scoraggiante quei genitori che scelgono la vita sono proprio ostinati. Un’ostinazione che nasce da due sorgenti: uno è l’orologio biologico che nella maturità della vita richiede l’assunzione di responsabilità verso l’altro, quando ce ne accorgiamo la logica cede il passo all’affidamento per i credenti, all’irrazionalità per gli altri; la seconda è la speranza nella vita che si nutre del sorriso di ogni nuovo bimbo.