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Sentenza

L’eterologa immette in famiglia
una terza figura genitoriale

Alberto Gambino, ordinario di diritto privato e direttore del Dipartimento di scienze umane dell’Università europea di Roma, analizza i risvolti della decisione assunta dalla Corte costituzionale contro la Legge 40: «Una decisione gravissima con la quale gli interessi del nascituro vengono fatti retrocedere di fronte a un presunto diritto degli adulti alla genitorialità». Nuovi diritti per il donatore

di Giovanna PASQUALIN TRAVERSA

10 Aprile 2014

Il divieto di fecondazione eterologa è incostituzionale. Lo ha stabilito ieri la Consulta, dichiarando l’illegittimità della norma della legge 40 che vieta il ricorso a un donatore esterno di gameti (ovociti o spermatozoi) nei casi di infertilità assoluta. «La Corte costituzionale, nell’odierna Camera di Consiglio – si legge nel comunicato di tre righe diffuso ieri dall’ufficio stampa della Consulta – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 4, comma 3, 9, commi 1 e 3, e 12, comma1, della Legge 19 febbraio 2004, n. 40, relativi al divieto di fecondazione eterologa medicalmente assistita».

I giudici costituzionali hanno accolto i ricorsi presentati dai tribunali di Milano, Firenze e Catania. Abbiamo parlato della pronuncia con Alberto Gambino, ordinario di diritto privato e direttore del Dipartimento di scienze umane dell’Università europea di Roma.

Come valuta questa sentenza?
Si tratta di una decisione gravissima con la quale gli interessi del nascituro vengono fatti retrocedere di fronte a un presunto diritto degli adulti alla genitorialità. Il divieto di fecondazione eterologa manteneva intatta una visione della famiglia secondo la quale il dato biologico coincideva con il dato sociale. Il ricondurre le tecniche di fecondazione artificiale nell’ambito dei soggetti che convivono quotidianamente con il figlio era un modo per lasciare inalterato il rapporto tra padre e madre naturale e padre e madre sociale. Due sole figure genitoriali. La caduta del divieto dell’eterologa apre invece ad un terzo soggetto: il donatore esterno, estraneo alla famiglia, ma che entra dal punto di vista biologico a farne parte.

Una pronuncia che quindi “scardina” la concezione della famiglia…
A risentirne sono in particolare gli articoli 29 e 30 della Carta costituzionale, il primo già vittima di un “attacco” con l’apertura della legge 40 anche a coppie non sposate, il secondo perché la sentenza ribalta la centralità dell’interesse del figlio sulla quale sembra prevalere il già citato presunto diritto alla genitorialità. Un presunto ‘diritto’, appunto. Occorrerà attendere la pubblicazione della sentenza, ma se la Consulta stabilisce l’incostituzionalità di una norma di divieto, si presume che quest’ultima “contraddica” un principio o un diritto sancito dalla nostra Carta. Quale, nel caso di specie? Dobbiamo ritenere che per i “giudici delle leggi” il desiderio di un figlio venga assurto, di fatto, a diritto?.

Quali altri aspetti della sentenza ritiene problematici?
La Corte non ha fatto cadere soltanto il divieto dell’eterologa, ma pure il divieto di disconoscimento della paternità da parte del coniuge o convivente della madre del bambino, insomma del “padre sociale”, e di conseguenza anche il divieto del donatore di avere relazioni parentali con il nato e di far valere nei suoi confronti alcun diritto. Proprio perché consapevole di una forzatura, quella di introdurre un elemento esterno, la Corte sembra aver ritenuto che questa forzatura non potesse spingersi fino al punto di fingere che non esista questo soggetto esterno. Esiste inoltre anche il diritto del figlio, ribadito di recente dalla stessa Corte, a risalire alle proprie origini biologiche, e quindi all’identità del donatore di gameti. In questo scenario l’attivazione di relazioni tra il donatore e il nato diviene una possibilità reale. Un ragionamento sconcertante, quello dei giudici, ma intrinsecamente logico: aprendo all’eterologa non si sarebbe potuto fare altrimenti.

Fin dall’inizio la legge 40 ha subito diversi attacchi e tentativi di progressivo smantellamento…
La questione è delicata, in particolare perché si tratta di una legge non solo approvata in Parlamento, ma pure confermata dal referendum del 2005. Dopo la sentenza di ieri ci si potrebbe chiedere quanto i giudici della Consulta siano effettivamente rappresentativi dello spirito della Costituzione e dello spirito del popolo. Verrebbe da dire che se ne sono allontanati…

Che cultura giuridica esprime la pronuncia della Corte?
Oggi occorre parlare di culture giuridiche al plurale. Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a metodi molto diversi di interpretazione della legge. Da un lato quello che si ispira a quanto affermato dalla legge e dai testi normativi; dall’altro quello riconducibile alla convinzione che, a prescindere dal disposto legislativo, sia più ‘interessante’ sentire che cosa dice la società e occorra quindi ricalibrare la legge secondo le aspettative sociali. La prima impostazione è certamente più fedele al significato della carta costituzionale, che comunque è anche espressione di una volontà popolare, ma la sentenza di ieri ha sposato di più la seconda tesi.

Intravvede il rischio di un mercato di gameti?
La decisione dei giudici apre al ricorso a gameti estranei, ma la loro commercializzazione rimane vietata e le procedure devono essere eseguite nei centri di procreazione medicalmente assistita pubblici o accreditati. Occorrerà tuttavia un’azione di monitoraggio da parte del ministero della Salute.

«Ritorno al Far West?»

«Con la sentenza della Corte costituzionale, che travalica la funzione politica del Parlamento su temi complessi che riguardano la società civile e i propri modelli di riferimento culturali, prosegue lo smantellamento progressivo a mezzo giudiziario della legge 40. Una normativa forse da rivedere dopo dieci anni, ma che ha avuto il merito di porre un quadro di riferimento scientifico ed etico in tema di procreazione assistita». È quanto dichiarano Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, presidente e copresidente nazionali dell’associazione Scienza & Vita, commentando la decisione della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa previsto dalla legge 40. «In tal modo - affermano Ricci Sindoni e Coviello - si apre un inesorabile vuoto normativo che prelude al ritorno a quel far west procreatico che in questi ultimi dieci anni era stato possibile contenere. Con la cancellazione del divieto di fecondazione eterologa viene legittimata ogni pratica di riproduzione umana, con il solo pretesto che tutti, comunque, hanno diritto a veder garantiti i propri desideri. La cultura giuridica si rimette in tal senso al dominio della tecnoscienza, legittimandone lo strapotere». «Questa sentenza - proseguono Ricci Sindoni e Coviello - apre, inoltre, lo scandalo del mercato dei gameti: nessuno garantisce che non avverrà - come già ora all’estero - con lo sfruttamento di chi si trova in difficoltà economiche». Quella di oggi, concludono, è «una sentenza nel solco di quella pronunciata ieri in materia di utero in affitto e che, anche in questo caso, rimette in questione i capisaldi della civiltà occidentale al cui interno l’esperienza della trasmissione della vita viene segnata dall’accoglimento del dono senza la pretesa di determinarlo in modo spersonalizzante. In questo modo invece non vi è riguardo per i diritti dei bambini, chiamati al mondo a tutti i costi in virtù di un non identificato ‘diritto alla genitorialità».
«La sentenza della Corte Costituzionale sull’eterologa conferma che la cultura dominante ha deciso di ignorare l’interesse del più piccolo e del più debole». È il commento di Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita (Mpv). «Una cultura - precisa Casini - che non ha la maggioranza e che ha un’ancor meno sensibilità democratica, visto che continua a farsi beffe della volontà popolare espressa in un referendum concluso con una maggioranza vicina all’85%. Una cultura che è più forte e più velleitaria anche della politica, ed infatti preferisce dare picconate alla legge 40 per interposta persona dei giudici, invece di ingaggiare un dibattito parlamentare aperto e trasparente». Il presidente del Mpv sottolinea anche un altro aspetto: «Del resto che la volontà popolare, e in particolare quella delle donne, sia più vicina a una scelta di rispetto del bambino concepito (nel corpo della mamma o in una provetta), è dimostrato anche dal risultato eccezionale dell’iniziativa europea “Uno di noi” che con i circa 2 milioni di firme raccolte, rappresenta la più popolare e la più sostenuta dai popoli dell’Europa campagna d’opinione finora avviata nella Ue». Per Casini «è singolare che proprio alla vigilia dell’avvio della fase politica e istituzionale di “Uno di noi” (oggi il comitato promotore incontra le Istituzioni europee) sia arrivato dall’Italia un segnale». A giudizio del presidente del Mpv, «non è così che si può rifondare il nostro Paese e far ripartire il sogno europeo, costruito intorno a un umanesimo integrale e ai diritti di ogni uomo, quale che sia il suo sesso, il suo colore o la sua età». «È necessario - conclude Casini - un cambio di prospettiva. È necessario che i giudici rinuncino a vestire i panni del legislatore. È necessario che le lobby smettano di lucrare sulla pelle del più povero tra i poveri, come Madre Teresa definiva il non nato».