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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Unione europea

L’eredità del 2012 e le frontiere
del nuovo anno

La crisi continua per tutti i paesi membri e la ripresa è attesa nella seconda metà del 2013

di Gianni BORSA Sir

2 Gennaio 2013

Nell’immaginario collettivo l’Unione europea è probabilmente associata alla crisi economica. Anzitutto perché la recessione, originatasi negli Stati Uniti oltre cinque anni fa, si è trasferita sul vecchio continente, provocando i pesanti effetti a catena che tutti conosciamo; ma, in seconda istanza, la relazione Ue-crisi è dovuta al fatto che proprio sulle istituzioni comunitarie si è concentrata la responsabilità – e la speranza – di costruire contromisure efficaci per contrastare la caduta libera dell’economia reale, l’instabilità finanziaria degli Stati e delle banche, la contrazione dell’occupazione e degli investimenti… Del resto l’Europa comunitaria non si può confinare nella sfera dell’economia, e l’anno nuovo lo potrebbe confermare.

Attesi segnali di ripresa. Se dunque il 2012 è stato contrassegnato – a Bruxelles, a Strasburgo, così come nelle capitali dei Paesi membri – dalla crisi e dai tentativi di rispondervi adeguatamente, il 2013 dovrebbe portare con sé (soprattutto a partire dalla seconda metà dell’anno) segnali di ripresa per le imprese, il lavoro, la finanza privata e i conti pubblici nazionali. In questi dodici mesi sono già peraltro calendarizzati nuovi impegni per l’Unione sul piano economico: dal completamento dell’unione bancaria, varata al Consiglio europeo di dicembre 2012, all’unione economica e monetaria, posta all’ordine del giorno del summit del prossimo giugno. Ma si parlerà spesso anche di fiscal compact (trattato che obbliga al pareggio di bilancio ed entra in vigore il 1° gennaio), six-pack, two-pack, “semestre europeo” (coordinamento delle politiche economiche), di Esm (il fondo salva-Stati). Strumenti, questi, targati Ue e predisposti per arginare la caduta della produzione e degli scambi, dell’occupazione e dei consumi, e per rafforzare le finanze statali, sia dell’Eurozona che degli altri Stati che hanno deciso di procedere sulla via del rigore e della crescita.

Responsabilità, lungimiranza. Gli elementi positivi sul piano economico e finanziario che, stando agli esperti, dovrebbero palesarsi in quasi tutti gli Stati europei, dovranno però essere accompagnati da decise azioni di sostegno alla crescita (mediante politiche di investimento adottate dai singoli governi e sostenute dal bilancio Ue), da misure rigorose per contenere i debiti e i deficit nazionali, da sostanziali riforme interne. Un ciclo economico favorevole, infatti, non nasce dal nulla: va favorito, assecondato, rilanciato. Qui si misureranno responsabilità e lungimiranza dei governanti di Germania e Francia, di Regno Unito e Italia, di Polonia e Spagna, di Grecia e Paesi Bassi e di tutti gli altri Stati dell’Unione: ai premier e ai capi di Stato è infatti richiesta la disponibilità a lavorare insieme, di comune accordo, per costruire un’Europa contrassegnata da sviluppo, benessere e solidarietà, andando oltre gli interessi nazionali che – ormai è acclarato – si difendono meglio con un’azione su scala europea piuttosto che mediante una visuale limitata ai confini statali.  

Gli impegni in agenda. Le scelte rimaste in sospeso, quelle da attuare, quelle da costruire ex novo, dovranno dunque giungere al capolinea, superando le titubanze o addirittura i rifiuti opposti da qualche Paese attorno all’unione bancaria, alle azioni di salvataggio verso gli Stati economicamente più provati, all’unione economica e monetaria, alla strategia Europa 2020 e al Patto per la crescita (intesi a rilanciare occupazione, inclusione sociale, lotta alla povertà). Lo stesso potrebbe dirsi per i negoziati attorno al bilancio annuale dell’Unione europea e quelli per il Quadro finanziario pluriennale 2014-2020, dove si sono evidenziate visioni distorte di integrazione europea, lontane dallo spirito dei trattati. Proprio nel momento di maggiore difficoltà della “casa comune”, dovrebbe ritrovare posto il principio di solidarietà che ha ispirato 60 anni fa la costruzione comunitaria.

Motivi di speranza, ruolo dei cristiani. Peraltro i segnali favorevoli all’inizio del nuovo anno non mancano. Dalla recente assegnazione del Nobel giunge infatti una importante sottolineatura del ruolo storico, e sempre attualissimo, della Comunità quale fattore di pacificazione e collaborazione in Europa e modello di relazioni virtuose fra gli Stati apprezzato negli altri continenti. Il 2013 sarà poi l’anno di un nuovo allargamento: a luglio la Croazia diventerà il ventottesimo Stato membro, confermando un processo di estensione dei confini Ue nel segno dell’apertura, della “unità nella diversità”, al quale guarda con fiducia l’intera regione balcanica. Non da ultimo, il 2013 è l’Anno europeo dei cittadini: l’Ue pone al centro del suo – tante volte travagliato – percorso le persone, le famiglie, la società civile, con i loro diritti. C’è bisogno di un’Europa che difenda la vita e la dignità di ogni cittadino, la democrazia e i diritti individuali e sociali, la libertà di pensiero e di credo religioso, così come lo sviluppo materiale e la cooperazione internazionale. È per questa Europa che – come indica l’esortazione apostolica “Ecclesia in Europa” scritta giusto dieci anni fa da Giovanni Paolo II e come ha più volte confermato Benedetto XVI – anche i cristiani sono chiamati a portare, entro il gioco democratico, il loro specifico e convinto contributo.