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Egitto

«La vera rivoluzione inizia adesso,
ma io sono fiducioso »

Intervista a padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano e islamologo di fama internazionale: venerdì 6 settembre a Gazzada interverrà alla XXXV Settimana di Storia religiosa euro-mediterranea

di Manuela BORRACCINO

2 Settembre 2013

La vera Rivoluzione in Egitto «è quella che comincia adesso». Padre Samir Khalil Samir, islamologo gesuita egiziano di fama internazionale, tra gli sherpa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI per il dialogo fra cristianesimo e islam, si dice «fiducioso» sui cambiamenti che attendono il suo Paese raggiunto via Skype a Wolfenbüttel, in Baviera, dove trascorre gli ultimi giorni di vacanza studio. Ma già il 6 settembre, alle 21, è atteso a Gazzada (Varese) per intervenire alla XXXV Settimana di Storia religiosa euro-mediterranea organizzata dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI.

Padre Samir, dopo l’estromissione dei Fratelli musulmani, lei vede una “restaurazione” in Egitto?
Direi di no, perché dopo essersi schierato a favore della popolazione nei giorni della destituzione di Mubarak, fino al 30 giugno l’esercito non è mai intervenuto. E poi le Forze armate non hanno guadagnato nulla dalla cacciata di Morsi: hanno nominato un governo di laici e si sono fatti garanti dell’ordine.

Lei ha difeso l’intervento dell’esercito. Perché la repressione era un male necessario?
Ci sono stati abusi da parte dell’esercito, ma guardiamo in faccia la realtà: sono stati i Fratelli musulmani a rifiutare qualsiasi compromesso, la prima dura legge della politica, e a ostinarsi a chiedere il ritorno di Morsi, che aveva perso il consenso della popolazione. Democrazia significa “il potere del popolo”: quando i giovani hanno lanciato la campagna per raccogliere firme contro Morsi, hanno superato i 22 milioni di firme documentabili. E al 30 giugno, chiedendo le dimissioni di Morsi, erano 30 milioni. E questo non è potere del popolo?.

Non è pericoloso estromettere dall’agone politico i Fratelli musulmani?
I Fratelli musulmani sono stati rigettati da tutti i governi dal 1928, anno della loro creazione, a oggi: i motivi per cui hanno vinto dopo la cacciata di Mubarak sono noti. Ora il dibattito è sulla creazione di un governo aperto a tutti, a condizione che qualsiasi atto di violenza escluda il partito che la fomenta e che si rispettino le norme della democrazia. Personalmente non sono d’accordo che vengano esclusi dalla politica a priori, ma chi ha scelto la violenza sì.

Oltre a tanti attivisti pacifici, si sono visti molti giovani violenti e iconoclasti, come si è visto dalla devastazione del Museo egizio di Minia. Lei pensa che si farà strada anche una diversa predicazione da parte dell’islam?
La situazione dell’istruzione in Egitto è catastrofica: l’analfabetismo colpisce il 40% della popolazione, chi sa leggere e scrivere ha appena una cultura di base, perché l’insegnamento è basato sulla memorizzazione e non sul ragionamento e la riflessione. Questo si riflette anche nella formazione religiosa: il rapporto fra fede e ragione è debolissimo, perché non si riflette sui brani del Corano. Le autorità religiose non sono meglio formate della popolazione media: e questa a mio avviso è la cosa più grave. La scuola islamica è fondamentalmente basata sull’imparare a memoria sia i versetti del Corano sia i detti di Maometto. Perciò l’intero sistema religioso islamico ha bisogno di una riforma, e credo che si farà: questa riforma è stata iniziata nell’800 in Egitto, in particolare con Rifa’a al-Tahtawi e più tardi con Giamâl ad-din al-Afghani e il grande imam Muhammad Abdo, rettore dell’Università islamica Al Azhar del Cairo, ed è stata bloccata dalla fondazione dei Fratelli musulmani nel 1928. Abdo (morto nel 1905) aveva una concezione molto più aperta dell’islam e del Corano degli imam di oggi, il che vuol dire che c’è stata un’involuzione rispetto alla Nahda, l’epoca del Rinascimento arabo. Questo è l’inizio di una primavera, e la vera Rivoluzione sarà quella che si fa adesso. Ci vorranno almeno una decina di anni per inaugurare un nuovo approccio alla cultura e alla riflessione, che tenga conto della modernità».

Non ci sono mai state così tante violenze contro i cristiani come dalla caduta di Mubarak, e le autorità religiose musulmane quasi non hanno reagito. Come spiega questi fatti?
Come dicevamo, il musulmano egiziano è incapace di usare positivamente il testo sacro: lo recita, diventando facile vittima del fanatismo e vittima dell’incitamento alla violenza in nome della fede. Personalmente sono fiducioso che ci sarà un cambiamento, perché sono in tanti nel mondo arabo a rendersi conto che negli ultimi 100 anni (anzi, negli ultimi sei secoli) non abbiamo contribuito al progresso dell’umanità. Perché questo? I fanatici dicono che il problema è che non siamo tornati alle origini dell’islam, la risposta dei liberali è affermare che siamo in questa condizione perché abbiamo guardato indietro anziché guardare avanti. La grande delusione che c’è stata contro i Fratelli musulmani dopo appena un anno ha mostrato il gap fra queste due posizioni: chi ha sperato in loro è rimasto fortemente deluso, perciò io sono fiducioso che arriveremo alle riforme musulmane.

Che scenari vede per il futuro?
Tutto dipenderà dalla possibilità che verrà data ai giovani e ai partiti laici e liberali di partecipare alle elezioni. La mia speranza è che l’Occidente aiuti il popolo egiziano, in questo momento difficile, a costituire, pacificamente e legalmente, un governo rappresentativo della maggioranza, inclusivo delle minoranze. Molto dovrà essere fatto per riformare tutto il sistema educativo. Abbiamo bisogno di una società civile, che distingue chiaramente religione e politica, con rispetto della cultura religiosa del Paese; e soprattutto, di una Costituzione rispettosa della “Carta universale dei diritti umani” e della libertà di coscienza, senza discriminazione tra sessi o religioni. Infine, mi auguro che tutti i responsabili religiosi lavorino per eliminare qualunque forma di fanatismo o di violenza verso chi la pensa diversamente.

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