Quale futuro stiamo preparando? Le recenti rilevazioni di due importanti istituzioni nazionali come l’Istat e la Banca d’Italia confermano la difficoltà delle nuove generazioni a ritagliarsi uno spazio da protagonisti nella società. Lo mostrano due dati chiari.
Aumenta il tasso di disoccupazione giovanile, che cresce del 6,2%, rispetto all’anno precedente, e raggiunge il 35,3%. Da un lato, potremmo notare l’aspetto positivo: ci lamentavamo dei giovani inattivi, quelli che non cercano nemmeno lavoro, ora 90 mila di loro hanno deciso di rimboccarsi le maniche, indica l’Istat. Dall’altro lato, l’informazione ci carica di tristezza, perché mostra la difficoltà di accesso al mondo lavorativo.
Si potrebbe sostenere: «È la crisi, anche tra le altre fasce d’età crescono le persone in cerca di occupazione». Però i giovani che cercano e non trovano lavoro sono un segnale grave perché rileva la scarsa vitalità del nostro sistema produttivo: di solito i giovani si posizionano all’interno dei settori del mercato, nei luoghi innovativi come qualche anno fa potevano essere l’informatica o la telefonia mobile. Oggi non ci sono spazi in espansione che offrono ampie possibilità d’inserimento.
I nuclei familiari composti da giovani coppie sono tra i più poveri. Un rapporto della Banca d’Italia avverte che il reddito è insufficiente per due famiglie su tre, ma soprattutto il 15% delle famiglie giovani si trova in una condizione di grave vulnerabilità sociale.
Possiamo trarre alcune conseguenze dall’indicazione di Bankitalia. In primo luogo, la difficoltà delle coppie di trovare la propria indipendenza economica, che non significa soltanto raggiungere l’autonomia rispetto alla famiglia d’origine, ma anche e principalmente l’impedimento d’immaginare la possibilità di procreare. Se con il proprio reddito non si riescono a soddisfare le esigenze in coppia o con un figlio, figurarsi lottare con un budget di spesa che deve prevedere rispettivamente un primo o un secondogenito.
In secondo luogo, le difficoltà economiche di una coppia giovane incidono sui consumi in modo molto più alto rispetto a una coppia adulta o anziana. Le neo-coppie investono e hanno un potenziale di spesa maggiore alle altre perché devono iniziare a costruire la loro vita comune oltre che sostenere e curare il futuro dei loro piccoli, come osserva spesso Luigi Campiglio, economista dell’Università Cattolica.
La scarsa propensione a investire su nuovi lavori e la mancanza di politiche a sostegno delle giovani coppie e per incentivare la natalità indicano tutte le fragilità della nostra società, perché sono il sintomo dell’incapacità di proiettarci verso il futuro.
Qualche tempo fa alcuni proponevano una “decrescita felice” per distribuire in modo più equo le risorse tra le popolazioni ricche e quelle più povere del mondo. Oggi sembra che questa “decrescita” sia abbastanza “infelice”, perché non controllata e completamente squilibrata.
Dovremmo prendere atto, però, che molto dipende da noi, dalla nostra mentalità, dalle nostre priorità di vita, dalle nostre scelte concrete e quotidiane. Senza una conversione culturale le mere lamentazioni sulle mancanze del sistema politico o sulle ingiustizie di quello economico apriranno la strada solo alla rassegnazione.