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Intervista

Il femminicidio è solo la punta dell’iceberg

La prevenzione è il principio cardine dell'azione del Se.D., il Centro antiviolenza della Cooperativa Farsi Prossimo. La riflessione della coordinatrice Sabrina Ignazi dopo l'omicidio di Pamela Genini nel quartiere milanese di Gorla

di Stefania CECCHETTI

20 Ottobre 2025
Foto di The Divorce Law Firm da Pixabay

Quello avvenuto nel quartiere milanese di Gorla è l’ennesimo femminicidio di una troppo lunga serie. Ogni volta, c’è una domanda che brucia: perché, nonostante le avvisaglie, la donna non si è allontanata dall’uomo violento? E di avvisaglie la 29enne Pamela Genini ne aveva avute diverse. Ne abbiamo parlato con Sabrina Ignazi, coordinatrice del Centro antiviolenza Se.D. (Servizio Donne) della cooperativa Farsi Prossimo di Caritas Ambrosiana.

«Diciamo che ci possono essere due condizioni che impediscono a una donna di uscire da una situazione di maltrattamento – spiega Ignazi -. La prima si ha quando lei stessa non è pienamente consapevole di vivere una situazione di violenza. In questo caso quello che noi facciamo è cercare di accompagnarla in una valutazione del rischio che corre all’interno della relazione».

L’altra condizione è quello che Ignazi chiama il “circolo della violenza”, «cioè l’alternanza, all’interno della relazione, di momenti di affetto ed effusioni, che noi definiamo “luna di miele”, a momenti in cui invece la violenza esplode, magari dopo un periodo di tensione. Questa alternanza crea molto spesso una confusione nelle donne, che quando vedono la situazione rientrare si illudono che la relazione possa funzionare. Purtroppo invece noi vediamo che gli episodi di violenza diventano sempre più frequenti e brutali, fino a sfociare, nei casi estremi, nel femminicidio».

Ignazi ci tiene però a precisare che il femminicidio è solo la punta di un iceberg: «Le aggressioni fisiche e i femminicidi sono le manifestazioni più evidenti della violenza maschile sulle donne. Ci sono però tutta una serie di altri comportamenti – come il controllo, la gelosia, gli atti persecutori che possono arrivare fino allo stalking -, che a volte vengono sottovalutati e normalizzati, come se facessero in qualche modo parte di una relazione sentimentale».

Ultimo ostacolo verso la libertà per una donna intrappolata in una relazione tossica è la sfiducia: «Le donne – spiega Ignazi – non credono nella reale efficacia di azioni concrete a loro tutela. Spesso sanno che, se anche denunciano, saranno loro a dover cambiare città e abitudini di vita, magari con figli al seguito, per proteggersi. Non sempre, infatti, gli uomini maltrattanti vengono allontanati o messi in una condizione di non nuocere».

Se la donna prende coraggio, spesso il primo passo è chiamare numero verde nazionale: 1522, oppure rivolgersi a un Centro antiviolenza, come quello gestito dalla Farsi Prossimo: «Offriamo anzitutto uno spazio di ascolto non giudicante – racconta Ignazi -. Ovviamente cerchiamo anche di capire meglio qual è la cornice e di mettere in evidenza eventuali elementi di rischio. Il nostro intento è quello di prevenire: tutto quello che facciamo va nella direzione di sostenere le donne nella maturazione della consapevolezza della situazione di maltrattamento in cui si trovano, nell’aiuto a immaginare la possibilità di uscirne e nel sostegno al percorso di uscita vero e proprio. Per questo il Centro ha un’équipe multidisciplinare, formata da una psicologa e da consulenti legali che possano sostenere le donne, sia sul versante penale che su quello civile».

«Un’altra azione che portiamo avanti da sempre – illustra Ignazi -, è quella educativa. Da quando il servizio esiste, circa trent’anni, ci è sempre stato chiaro come accanto all’aiuto che diamo alle donne ci debba essere anche un intervento di sensibilizzazione, di formazione alla cittadinanza, perché si possa arrivare a un vero e proprio cambiamento culturale. Siamo consapevoli del fatto che la violenza e il maltrattamento si innestano su stereotipi di genere e su tutta una serie di comportamenti “normalizzati”, dalle battute sessiste sul luogo di lavoro agli apprezzamenti non graditi, che a volte vengono sottaciuti e accolti con rassegnazione dalle donne».

Proprio per il peso dato all’aspetto culturale, Ignazi è preoccupata per l’approvazione in Commissione Cultura della Camera di un emendamento della Lega che vieta l’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole medie e primarie. Approvazione avvenuta proprio lo stesso giorno dell’omicidio di Pamela. «Da sempre il Centro antiviolenza gestisce interventi presso gruppi giovanili, come scout e parrocchie, da qualche anno siamo entrati anche nelle scuole secondarie e da quest’anno nella primaria e nella secondaria di primo grado – racconta Ignazi -. Pensiamo che sia fondamentale perché sono questi i luoghi in cui si può iniziare a parlare di rispetto, di consenso, e a mettere in discussione gli stereotipi di genere che spesso sono alla base delle prevaricazioni all’interno delle prime relazioni di amicizia e sentimentali. È importante che fin da subito ci si renda conto che alcuni comportamenti non sono ammissibili».