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Politica e magistratura

Intercettazioni: equilibrio ristabilito

Fabio Macioce, segretario centrale dell’Unione giuristi cattolici italiani, commenta la sentenza della Corte costituzionale

a cura di Giovanna PASQUALIN TRAVERSA

5 Dicembre 2012

Una sentenza «assolutamente corretta» che «ristabilisce l’equilibrio tra i poteri dello Stato sul quale si fonda il nostro sistema costituzionale». Così Fabio Macioce, segretario centrale dell’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci) e docente di filosofia del diritto alla Lumsa, commenta la decisione con cui la Consulta ha accolto il ricorso presentato dal Quirinale e ha disposto la distruzione di tutti i documenti contenenti le intercettazioni delle conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino. Una sentenza che mette fine al “conflitto” in atto da mesi tra il capo dello Stato e la Procura di Palermo.

Interazione ed equilibrio dei poteri

«Non spettava ai magistrati palermitani – afferma Macioce – valutare la rilevanza della documentazione relativa a queste intercettazioni che erano, tra l’altro, non dirette a intercettare il Presidente della Repubblica, ma in qualche modo “casuali” o indirette. Il Capo dello Stato ha, come è noto, una limitatissima possibilità d’imputazione, ed essa deve essere sottratta al potere decisionale della magistratura». Nel sottolineare che il nostro sistema costituzionale «si fonda sull’interazione e sull’equilibrio tra i vari poteri dello Stato», il giurista sostiene che con la decisione di ieri la Corte «ha certamente riequilibrato questo rapporto che negli ultimi anni si era sbilanciato a favore della magistratura» la quale, «in assenza o a fronte di una debolezza del potere politico e delle istituzioni, ha in qualche modo ampliato la propria operatività e i propri ambiti d’influenza». Un’espansione che «la Consulta ha ritenuto di ridimensionare e riportare a una misura più conforme al nostro dettato costituzionale».

Invito alla prudenza

La figura del presidente della Repubblica, chiarisce Macioce, «costituisce uno snodo cruciale dell’intera architettura istituzionale; pertanto la valutazione delle sue azioni è molto limitata». In tale ottica, secondo il giurista, «a fronte dell’operato della Procura di Palermo, apparso eccessivamente “disinvolto”», la sentenza della Corte è «assolutamente corretta». Pur dicendosi convinto che i magistrati palermitani «non avessero e non abbiano intenti politici o parapolitici», Macioce sostiene che «la loro attività aveva in qualche modo travalicato i confini costituzionali», e che la sentenza della Consulta «contiene certamente una “lezione” per tutti, e in particolare per le procure: certe valutazioni, soprattutto quando hanno per oggetto l’operato di altri poteri e organi costituzionali, devono essere molto più prudent»”. Dunque, «non una condanna della magistratura palermitana, come si è sentito affermare da alcuni dimenticando che la Corte costituzionale non esprime valutazioni di questo tipo, bensì l’analisi di quale fosse la scelta più corrispondente alla tutela dell’equilibrio costituzionale». «Un valore e un bene – conclude Macioce – che va difeso in modo assoluto, perché su di esso si regge la nostra democrazia. Quando questo equilibrio si spezza, qualunque sia il potere che prende il sopravvento sugli altri, per la democrazia, per come è stata disegnata dai nostri costituenti, si verificano un vulnus e una situazione di grave pericolo».