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Genitori & figli

Il viaggio della maturità

Cambiano le generazioni, ma i desideri no. Per fortuna. Nei pomeriggi ''filosofici'' domande acutissime e provocatorie, come solo i ragazzi a questa età sanno fare

di Maria Michela NICOLAIS Agenzia Sir

15 Luglio 2013

«Che regalo fate ad Arianna per la maturità?».
«Quello che ci ha chiesto lei: un mese in giro per l’Europa con l’inter-rail».

Zaino in spalla, il solito gruppo di amici fidati, tanta strada da macinare, con relativi ed auspicati incroci con altri viandanti del terzo millennio. Proprio come noi, generazione Anni Ottanta: molto meno abituati a varcare le frontiere di quanto lo sia la generazione dei nativi digitali. Molto meno tecnologici nei nostri sogni. Eppure… domande nuove, risposte antiche. O meglio: stesse domande, stesse risposte. Cambiano le generazioni, ma i desideri no. Per fortuna.

Sta in questo gioco delle parti – ma non esattamente come lo drammatizzerebbe Pirandello – la mia sintesi della mia prima figlia alle prese con quell’esame che ciascuno di noi ha sognato sotto forma di incubo, almeno una volta nella vita. Quel famigerato esame, discusso, vituperato, a più riprese e con esiti altalenanti “riformato”.

Come è avvenuto anche quest’anno con il tema su Claudio Magris, grandissimo scrittore che ha ironizzato lui per primo sulla scelta: «Speriamo che gli studenti non mi maledicano». E loro, di rimando sul web: «Cosa ci siamo spaccati la testa a fare su tutto il Novecento? Tanto quest’altranno esce Geronimo Stilton…». La solita sfacciata irriverenza della generazione punto zero…

Cambiano le generazioni, ma i desideri no. A dire il vero, in questo frenetico ed emotivamente destabilizzante ultimo mese prima degli esami non ne ero così convinta. Anzi, quando mia figlia mi ha chiesto di organizzare a casa nostra alcuni “pomeriggi filosofici” con i suoi compagni di classe perché incombeva la terza prova, ho reagito da una parte felice di rispolverare la mia laurea in filosofia, dall’altra alquanto stizzita perché avevano deciso di fare tutto il programma in pochi incontri: una specie di Bignami tardivo e mortificante per quella che per me – oltre alla letteratura italiana – è sempre stata “la” materia per eccellenza.

Il “noi” contrapposto al “loro”, la vecchia trappola dei laudatores temporis acti (ecco, adesso ritorna pure il latino…). Però ho accettato con slancio, ho seguito la voce della passione. E gli incontri dovevano essere uno o due, poi sono diventati sei, e i ragazzi da un gruppetto di quattro-cinque sono diventati quindici, ho dovuto aggiungere un altro tavolo in salone per poterli ospitare tutti con i loro libri e i quaderni per gli appunti (ma non erano la generazione digitale?).

Quasi tre ore su Kant, altrettante su Hegel, e poi Schopenhaur, Kierkegaard, Marx, Nietzche, Freud… Loro chiedevano, e approfondivamo insieme. Ma la parte più bella delle “lezioni” erano le domande, tutte acutissime e provocatorie, come solo i ragazzi a questa età sanno fare. E magari “buttate là” da chi meno te lo aspetti. Poi il confronto, la discussione, io a fare da moderatrice.

La chiave era l’aggancio all’attualità, intesa non solo in senso “giornalistico”, ma soprattutto in senso esistenziale. La loro vita, quella degli amici di mia figlia, che transitano ogni giorno per casa e dopo il loro passaggio – soprattutto i maschi – lasciano la dispensa vuota. Come noi, alla loro età, quando stazionavamo nelle case altrui.

La terza prova è andata bene, c’è chi mi ha detto che ha usato la filosofia pure per il compito di spagnolo… E poi gli orali, «gli ho detto tutti i tre momenti dell’io di Fichte…». Belli, questi ragazzi, fantastici: sono così diversi, ma ci assomigliano. Sono molto più belli del mondo che gli abbiamo lasciato. Basta crederci, davvero, fino in fondo. Basta metterci in gioco. Mi mancheranno. Vabbè, c’è sempre la seconda figlia, Beatrice, fra tre anni. Ma ci penserà un po’ più per tempo? Riecco l’adulto che fa capolino…