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Riflessione

Il disagio giovanile e la protesta di Roma

Dietro l’insoddisfazione che talvolta sfocia nell’aggressività (sempre da condannare), la mancanza di veri educatori. L’importanza di nuovi stili di vita

di monsignor Severino PAGANI Vicario episcopale per la Pastorale giovanile

18 Ottobre 2011

I fatti di Roma in occasione della manifestazione di protesta di sabato scorso – su cui si è soffermato anche il cardinale Scola durante la messa per la Dedicazione della Cattedrale, domenica in Duomo -, non ci permettono di restare tranquilli di fronte a ciò che si agita nel nostro Paese e in modo particolare nel mondo giovanile. Parlando direttamente con molto ragazzi, sentendo da vicino ciò che si agita nei loro pensieri e nel loro cuore, mi vengono alcune semplici riflessioni, quasi per ritrovare una strada e per non rimanere senza speranza.

Innanzitutto bisogna dire che il disagio giovanile e un’esperienza radicata e reale in moltissimi ragazzi e ragazze di oggi. Non è una novità. Forse non è scontato richiamare che questo disagio è diffuso in molti giovani del tutto normali, senza ideologia, ancorati alle necessità del presente, impegnati in un curriculum di studi interminabile che non fa presagire un futuro per loro. Molti non hanno lavoro, raccattano qualche soldo qua e là e insieme non sono predisposti a rinunciare alle esigenze di comodità che la cultura contemporanea dà per scontate. Bisogna stare molto tempo insieme ai giovani per capire con loro e far capire che molte comodità non portano alla gioia. Ma chi sono oggi i veri educatori?

Quando incominciano a scarseggiare i viveri, più che di cibo di soldi, ma anche di affetti duraturi, di gusto, di significati e di prospettive future, la tensione si alza. Prima è impercettibile, poi diventa cattiva. Qualcuno è più calmo e qualcuno meno. Qualcuno crede al Vangelo e rimane più buono, ma per questo non stupido; qualcun altro non ci pensa neanche. Insieme all’insoddisfazione cresce l’aggressività nella vita quotidiana: in casa, nel traffico, nelle parole, nei giudizi, nel corpo. Ci si arrabbia di più, a volte per niente; altre volte per buoni motivi. Aumenta la gente che dice: ho bisogno di sfogarmi.

Eppure, anche per i giovani e molto di più per gli adulti, bisogna pur ripartire da qualche parte: bisogna ripartire da un’assunzione di nuovi stili di vita e da una più giusta distribuzione delle ricchezze. Aumenta la distanza tra ricchi e poveri. Stili di vita più sobri e meno legati all’apparenza non si improvvisano. Più uguaglianza nella distribuzione della ricchezza e più giustizia nel modo di ottenerla sono indispensabili. Oggi se ne vedono troppe e i giovani non le reggono più. Qualche giovane approfitta fino all’orlo in questa ingiustizia, qualcun altro non ne può più. Ci sono giovani ricchi e giovani poveri: alcuni sono sfacciatamente ricchi e altri disperatamente poveri. Entrambe le categorie sono vicine a noi più di quanto non pensiamo. C’è molta angoscia in alcuni, e questa angoscia cova da dentro e fa soffrire. 

Pur senza ideologia, la violenza viene da lontano. C’è troppa aggressività, anche nei modi di parlare. C’è crisi di rispetto, di senso e ultimamente c’è crisi di democrazia. Per lo più i giovani sono prevalentemente vittime di un costume dominante: l’hanno imparato crescendo. Ci vuole invece uno stile di vita autenticamente umano; un modo di fare politica e una testimonianza di fede – per chi ce l’ha – maggiormente radicati nel Vangelo, nel rispetto della persona e  nella possibilità di una convivenza democratica. Gli adulti e le istituzioni hanno le loro responsabilità.

Quando si diventa più poveri, e quando lo si diventa in maniera ingiusta, la violenza è in agguato. Eppure si può ancora fermarla: in molti modi, ma soprattutto con una maggiore giustizia, una programmazione concertata tra le parti nella vita sociale, e attraverso una più disinteressata solidarietà. La violenza viene da lontano, la si vede crescere a ondate, ma la si deve sempre condannare.

I giovani in tutto questo hanno certo una responsabilità, ma non la prima. La prima viene dagli adulti, dai poteri forti, da chi è in grado di fare scelte strutturali significative, e proposte educative esigenti e vere. Ci vuole meno ideologia; ci vuole legalità e giustizia, onestà individuale e sobrietà di Stato. Se si vogliono giovani in grado di dare slancio e senso alla vita democratica di un Paese, bisogna dare loro quello che è più propriamente loro, cioè il futuro.

Ai giovani, d’altra parte, sta la responsabilità e l’impegno a volere un futuro più umano, più vero, più serio, meno godereccio, forse anche più povero. Un futuro, però, in cui non si spenga il senso della vita, il gusto delle cose. Un futuro in cui la libertà sia spesa bene, e in cui l’altro, ogni altro, non sia un nemico, ma un ospite. Un futuro in cui ciascuno possa guadagnare i soldi per vivere in maniera onesta e laboriosa, e si possa vivere l’amore con forza, sacrificio e fedeltà. Quanti credono al Vangelo, giovani e adulti, conoscono le Beatitudini e hanno qualche possibilità in più per trasformare alcune apparenti ingenuità in esperienze reali condivise.

Scola: «Reagire costruendo relazioni buone»

Proprio alla distruzione della statua della Madonna riportata nella foto qui sopra si è richiamato il cardinale Scola nell'omelia della messa per la Dedicazione della Cattedrale, domenica scorsa in Duomo. «Dio non voglia - ha detto - che con fatalismo abbiamo a comportarci davanti a gravi fatti come quelli successi a Roma ieri. Ci offende profondamente come cristiani la distruzione della statua della Vergine e la profanazione del Crocifisso, ma l’episodio di ieri, forse, ancor più che offenderci, ci intristisce pesantemente e ci addolora in maniera grave perché esprime una grave violenza del più comune senso dell’umano. Bisogna riportare pace e giustizia e reagire, nel senso nobile della parola, costruendo relazioni buone. Non possiamo subire tutto in modo ineluttabile».