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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Esteri

Il 2012 nel mondo tra realismo e fiducia

C’è molta la preoccupazione, ma ancora più forte è la speranza in una situazione migliore in diversi paesi

Riccardo MORO

3 Gennaio 2012
Thousands of Christians protest in the northern Iraqi town of Hamdaniyah on May 3, 2010 to condemn a bomb attack on a bus carrying students and workers which left one person dead and 80 wounded. The attack, comprising a car bomb and an improvised explosive device, took place on a highway around three kilometres east of Mosul, the capital of Nineveh province on May 3. Many victims had been travelling to the University of Mosul from Hamdaniyah. AFP PHOTO/MUJAHED MOHAMMED

Iraq, 2 maggio: un attentato provoca 4 morti e 171 feriti tra gli studenti di un convoglio diretto all’Università di Mosul Alta risoluzione
Foto AFP/SIR

Il 2012, come ogni anno, si apre ricco di sfide. Alcune di queste derivano da un 2011 particolarmente intenso. Prima fra tutte la primavera araba, che ha cacciato i leader più longevi come Mubarak e Ben Alì, ma guarda al futuro con incertezza. I leader più giovani, come in Marocco e Giordania, hanno cercato ponti con i contestatori. Altri hanno preferito la violenza, come in Bahrein, Yemen e Siria. Il leader più contraddittorio, Gheddafi, ha preferito cercare la morte in un conflitto annunciato che è costato vite umane e non ha facilitato il processo democratico nell’area.
Se il ritorno al passato è impossibile, ci si interroga sulla capacità della politica di governare senza degenerazioni. In Egitto il processo elettorale è molto lungo e l’esercito non intende lasciare le reali leve del potere. In Libia il nuovo governo deve affrontare un difficilissimo percorso di riconciliazione nazionale e di riforme economiche e costituzionali, ma non ha ancora un reale consenso popolare. In Siria Assad continua ad avanzare in un vicolo cieco nel quale la ‘diversità siriana’, che lo aveva sinora protetto, potrebbe ad un certo punto scomparire. Il 2012 dirà se nel piccolo leader prevarrà il senso di responsabilità (almeno l’istinto di conservazione) o la violenza disperata e miope. Usa, Europa e Turchia possono tollerare (e usare) un leader che nell’islam più duro toglie la scena ad Ahmadinejad, ma non possono sostenerne la ‘diversità’ di fronte alle immagini del sangue che Al Jazeera trasmette in tutto il mondo.
Il 2012 non sarà solo la ricomposizione dell’area araba. Sarà anche il lento processo a rafforzare strumenti e meccanismi di governance per gestire e prevenire le crisi. Il principale ostacolo ad una intesa, l’atteggiamento della Germania, sembra venire meno di fronte alla constatazione dell’interdipendenza dei paesi e alla sistematica perdita di consensi dell’alleanza giallo-nera tra CDU/CSU e liberali. Le elezioni francesi, con un forte europeismo del presidente uscente e dell’opposizione, insieme al nuovo corso italiano, non possono che irrobustire questo processo. Viceversa, alle esitazioni un po’ egoiste della Merkel si è sostituito ultimamente l’orgoglio di Cameron, che non è però riuscito a disgregare il consenso tra gli altri 26. Cameron rifiuta la regolazione dei mercati finanziari. La sua scommessa è che l’opting out, il chiamarsi fuori caro alla Thatcher, faccia tornare la City centro del mondo finanziario mentre il resto dell’Europa si atrofizza con tasse farraginose come quella sulle transazioni finanziarie proposta dalla società civile internazionale. Per ora ha incassato critiche pesanti anche in patria e, ora che non esiste più un rapporto preferenziale con gli Usa di Obama, le sue scelte potrebbero comportare nei fatti una marginalizzazione internazionale della Gran Bretagna.
Nel nuovo anno forse passeranno di moda gli indignados. Ma non va liquidata con sufficienza la loro denuncia di un futuro negato. È su questo che si misurerà l’efficacia dell’azione di molti governi. Quella sfida, però, va coniugata con quella dell’uscita sostenibile dalla povertà dei tre miliardi che vivono con meno di due dollari al giorno. In questa prospettiva, particolare importanza avrà la Conferenza Internazionale delle Nazioni sullo sviluppo sostenibile di Rio de Janeiro, chiamata comunemente Rio +20 perché si terrà a venti anni di distanza dalla prima Conferenza Onu su ambiente e sviluppo tenuta nel 1992 proprio nella città brasiliana.
Nel 2012 inoltre si celebreranno le elezioni Usa in cui Obama, sia pure in calo di consensi rispetto all’inizio del suo mandato, appare più credibile – e votabile – di tutti i candidati che la macchina del Grand Old Party repubblicano è riuscita sinora a produrre. Rinnovo di mandati anche in Russia, dove Putin intende tornare alla Presidenza, ma per la prima volta incontra contestazioni popolari, e in Cina, dove Hu Jintao lascerà il potere, secondo le rigide regole del partito che prevedono l’uscita dalle cariche pubbliche dopo i 68 anni. Salvo sorprese arriveranno al potere i rappresentanti della ‘quinta generazione’ Xi Jinping nel ruolo di capo dello stato e Li Keqiang in quello di primo ministro. Nuovi equilibri nel Pacifico, insomma, destinato a divenire in futuro più centrale dell’Atlantico.
Mentre l’anno si chiudeva due figure internazionali ci hanno lasciato, quella dolorosa del leader nordcoreano Kim il Son e quella luminosa di Vaclav Havel. Intellettuale schivo, Havel divenne leader della rivoluzione di velluto quasi controvoglia, chiamato dalla gente. Da Praga segnò la strada che permise ad altri paesi dell’est europeo di passare pacificamente dalla dittatura comunista alla democrazia. Chi scrive ne ha un vivo ricordo personale, a spiegare instancabile, con mitezza e rigore, le ragioni della democrazia e del dialogo con tutti, a cominciare dagli avversari.
È quel magistero, che unisce dolcezza e tenacia, che ci è ancora prezioso per le sfide del nuovo anno.