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Torino

Fiat, responsabilità a confronto

Le risposte del Governo e dell’azienda di fronte a una crisi dell’auto senza precedenti

di Nicola SALVAGNIN Agenzia Sir

24 Settembre 2012

In attesa che entri in vigore la riforma Fornero sugli ammortizzatori sociali, quelli esistenti sono stati tutti rispolverati per dare un sostegno alle migliaia di lavoratori del gruppo Fiat che stanno passando un momentaccio. Il mercato dell’auto in Italia (ma anche nel resto d’Europa) è letteralmente crollato, di Fiat-Alfa-Lancia se ne vendono sempre meno e d’intasare i piazzali degli stabilimenti con auto prodotte, ma destinate a essere invendute, non è proprio il caso.

Quindi cassa integrazione à go-go, ora si parla di contratti di solidarietà, si vocifera di nuovi aiuti, nuovi incentivi… Una reazione originata da una chiarificatrice intervista rilasciata da Sergio Marchionne, nella quale l’amministratore delegato della Fiat ha in sostanza – e chiaramente – detto che: il Gruppo fa soldi nel resto del mondo, ma perde 700 milioni di euro all’anno in Europa, cioè in Italia; che a fare nuovi modelli Fiat non ci pensa nemmeno, non ripagherebbero mai gli enormi investimenti iniziali; che non investirà più 20 miliardi di euro in Fabbrica Italia, come promesso. E ai più è parso l’inizio dell’addio di Fiat all’Italia, dove ha 25 mila dipendenti ed è capofila di un settore con un notevole indotto. Ciò ha scosso i nostri politici che stanno discutendo di riforme elettorali, costringendoli a dire qualcosa in merito. Quindi qualche dichiarazione ad uso tg, e l’invito al Governo Monti di occuparsi della faccenda.

Francamente, Mario Monti e il suo gruppo di tecnici cosa possono fare quando nessuno sa veramente che fare? Obbligare un’azienda privata a investire in Italia, anche in perdita? Dare sussidi indiretti (quelli diretti sono proibiti) per sostenere quell’azienda e non le migliaia d’altre oggi in crisi? E, nel caso, con quali soldi? Ricattare gli azionisti di Fiat – quelli italiani -, ricordando loro quanto sia stata generosa l’Italia con la loro proprietà? Un elenco di idee inutili o irrealizzabili. Così il Governo ha giocoforza incontrato i vertici della Casa automobilistica più per esigenze d’immagine reciproca, che per la possibilità di cavare un ragno dal buco in poche ore di colloquio.

Certo, l’esecutivo può seguire il dossier Fiat con un po’ più di attenzione, è già successo in passato con altri casi (vedi Alitalia); può stimolare l’azienda a non chiudere stabilimenti, ma a trovare qualcuno che li rilevi; oppure ragionare sul fatto che si producano in Italia quei modelli americani che stanno funzionando. Suggerimenti, magari pressanti; ma nulla di più. Non è un Governo che deve dire cosa fare a un’azienda privata, chi propugna simili soluzioni ha tanta nostalgia degli enormi danni che fece lo Stato alcuni decenni fa, quando decise di diventare produttore di auto (Alfa Romeo), gelati, prodotti chimici, acciaio…

Uno Stato deve creare le migliori condizioni per fare impresa e per lavorare, deve certamente avere un occhio di riguardo per i propri campioni nazionali, deve anche sovrintendere con efficacia e discrezione a quelle situazioni in cui la nazione rischia di perdere pezzi pregiati della propria economia. Abbiamo smantellato l’industria informatica, quella chimica, quella tessile; svenduti i migliori marchi agroalimentari; ci siamo fatti colonizzare dalla grande distribuzione organizzata straniera. Perdere anche la meccanica – con l’indotto che genera – sarebbe francamente una disdetta.

Ma tutte le migliori intenzioni si fermano alla porta degli investimenti privati: nessuno Stato può obbligare a farli. Marchionne ha fatto capire che nuovi modelli Fiat non ci saranno nei prossimi tempi. La gamma è invecchiata ed eccessivamente schiacciata sulle utilitarie che danno guadagni ridotti, alcuni modelli non hanno funzionato, il marchio Alfa è agonizzante e la Lancia è diventata il nome con cui Chrysler vende in Italia i suoi modelli.

Quindi? Fiat faccia quel che deve; il governo altrettanto e vada in giro per il mondo a offrire ai giapponesi, ai coreani, ai cinesi ma anche ai tedeschi valide opportunità d’investimento in Italia. Il lavoro è lavoro, anche se fatto in uno stabilimento Hyundai o Audi. Non è il massimo, non lo è per niente; ma qui dobbiamo evitare il minimo.