Ci sono gesti e azioni che hanno un valore molto più simbolico che reale: stiamo parlando per esempio dei blitz della Guardia di Finanza in certe rinomate località turistiche, o nelle grandi città. Sconfortante comunque leggere l’alta percentuale di situazioni trovate fiscalmente fuori regola.
Si diceva che il valore simbolico è ben maggiore: fa capire a tutti gli italiani che evadere le tasse è sempre più rischioso, sempre più soggetto a controlli. Ingenera così la sensazione che le cose non siano più come prima, e che è meglio fare quello scontrino o quella ricevuta fiscale. Se la convinzione si diffonde su milioni di persone – amplificata dai mass media e dal consenso generalizzato degli italiani – sarà giocoforza ottenere risultati sul fronte delle entrate fiscali ben superiori allo strumento punitivo del controllo e della sanzione. Per non parlare di quei cittadini-consumatori più avvertiti di prima e meno propensi a “lasciar correre”, a non chiedere lo scontrino.
L’effetto – se ci sarà come è auspicabile – lo vedremo nei prossimi mesi, con un aumento appunto delle entrate fiscali. Giova ricordare che il “nero” occulta al Fisco italiano somme pazzesche: in cassa mancano sicuramente molte decine di miliardi di euro all’anno. Sono soldi che si ha il dovere di recuperare. Poi si avrà la possibilità di utilizzare. Già: ma come?
Ci sarebbero due sbocchi assai proficui economicamente, e uno che vincerà sugli altri due perché a volte l’equità sovrasta il vantaggio. Il maggiore introito fiscale potrebbe rilanciare (o almeno smuovere) l’economia italiana finanziando alcune opere pubbliche o infrastrutturali che nell’immediato darebbero molto lavoro, e nel medio termine permetterebbero a certi territori di essere più competitivi. C’è solo l’imbarazzo della scelta, quello che mancano da almeno un paio di decenni sono i denari.
Oppure si potrebbe fare un’operazione assolutamente non eclatante, ma economicamente virtuosissima: destinare i maggiori introiti all’abbattimento del debito pubblico, che ha sforato quota 1.900 miliardi. Su questi paghiamo fior di interessi che, ogni anno, ci dissanguano. Abbassando il debito, abbassiamo gli interessi da pagare e daremo un forte segnale a tutto il mondo sulla nostra capacità di far fronte ad esso. Se ne avvantaggerebbero le quotazioni dei nostri Bot e Btp, innescando un ulteriore circolo virtuoso sul fronte degli interessi da pagare. Meno sono, più euro ci rimangono in tasca.
Vincerà invece – e il Governo Monti sta lavorando in tal senso – l’esigenza di allentare la pressione attorno al portafoglio di chi le tasse le paga tutte, da sempre. Perché la situazione è insostenibile, soprattutto dopo le manovre dei mesi scorsi che hanno stretto ancora di più il nodo scorsoio. È stato dato il via libera a Comuni e Regioni di aumentare l’Irpef sui redditi da lavoro; è cresciuta l’Iva; è stata reintrodotta l’Ici sotto forma di Imu. Non parliamo poi delle accise sui carburanti: paghiamo la benzina e il gasolio più cari dell’Occidente.
Insomma sono tutte cose che incidono (e non poco) sui bilanci familiari; che hanno dato una forte spinta alla recessione che interesserà l’Italia almeno per tutto il 2012. Quindi l’abbassamento delle aliquote Irpef sui redditi da lavoro compenserebbe i sacrifici finora fatti dai contribuenti onesti, secondo il principio per cui, se tutti paghiamo il giusto, tutti pagheremo meno.
In linea di principio, appunto, è tutto corretto. L’unica perplessità è che il gesto non sia nemmeno avvertito, che abbassare di un punto o due la prima aliquota, alla fine non cambi di molto le cose. In teoria aiuta chi guadagna di meno. O chi dichiara di meno. Tutti gli altri, sì e no che se ne accorgeranno: cioè la classe media – il torace della società italiana -, quella che in questo momento è in fortissima tensione, quella che pian piano sta scivolando verso una condizione di dignitosa povertà.
E sono in particolare le famiglie che chiedono molto di più rispetto a un contentino: un cambiamento radicale che le metta al centro di un sistema fiscale ora imperniato sull’individuo. Ma queste sono decisioni politiche che prima o poi qualcuno dovrà pur prendere, oltre che promettere.