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Dati Istat

Economia indietro di 25 anni

Sono oltre 3 milioni i disoccupati nel Paese con un tasso del 12,8%,
che non vedevamo dal 1977, e sfiora il 50% tra i giovani

di Nicola SALVAGNIN

3 Giugno 2013

Non occorre nemmeno leggere le ultime, sconfortanti statistiche dell’Istat sulla disoccupazione, per rendersi conto di quale sia lo stato di salute dell’economia italiana, e del Paese in generale. Basta entrare in uno dei tanti super e ipermercati alla presunta ora di punta, per rendersi conto che l’ora di punta non esiste più; che i consumi sono gelidi molto più di quanto dicano le statistiche (che contabilizzano pure consumi come la benzina o l’elettricità, in costante crescita di prezzi e/o imposte). Se non si compra, non si produce. E se le fabbriche stanno ferme, si licenzia.

Infatti – dice l’Istat – siamo arrivati ad un tasso di disoccupazione che non vedevamo dal 1977. Ma il 2013 è peggio del 1977, perché allora l’economia comunque si muoveva, aveva sussulti anche violenti (lo shock petrolifero, gli scioperi, l’inflazione…), ma in un contesto di crescita. Invece oggi le acque sembrano così stagne da apparire come sabbie mobili, con noi che sembriamo andare sempre più giù.

E il peggio è che il conto più pesante lo stanno pagando le giovani generazioni: tra chi è in cerca di lavoro e ha meno di 24 anni, il tasso di disoccupazione è semplicemente insostenibile, e sfiora il 50% (di più tra le ragazze del Sud). Si sta bruciando il loro futuro, che è anche il futuro di tutti.

È colpa di tutti e di nessuno, si potrebbe fare questo e pure quello, si attendono novità interne (Governo) ma anche esterne (Bce, Eurozona, ripresa mondiale). Ma c’è un problema di fondo che è grande come un grattacielo, e che nessun decreto legge, nessun aiutino esterno, nessuna buona volontà in azione può surrogare: manca la fiducia.

La crisi c’è dal 2008. La fiducia è venuta gradatamente a mancare dal 2011. Oggi gli italiani sono sfiduciati, hanno paura, non guardano al futuro ma ad un presente che li sembra inchiodare a titubanze o, peggio, angosce. La crisi dei consumi – l’innesco della bomba – non parte e non è solo una mancanza di mezzi, di soldi. L’italiano è il cittadino europeo più solido patrimonialmente, grazie a una diffusa proprietà immobiliare (e che belle case!) e a risparmi accumulati e saggiamente investiti: lo dicono i Centri studi stranieri, non noi. Dà un forte valore alla famiglia, vista anche come struttura di sostegno in caso di difficoltà. E non è così da altre parti. Oggi ha anche un problema di soldi: licenziamenti, mancate assunzioni, crollo dei valori immobiliari ed altro ancora, hanno svuotato i nostri portafogli. Ma i depositi bancari non sono vuoti, esiste una marea di liquidità parcheggiata in attesa di futuro: di investimenti, di spese, di tornare in circolazione. Qualche tempo fa si diceva: quando i prezzi si abbasseranno, i consumi torneranno a crescere. Ma si è sottovalutato l’aspetto psicologico: la paura paralizza occasioni, convenienze, opportunità, scelte.

Quindi la vera operazione da fare è sul capitale-fiducia. Smettiamo di ascoltare le cassandre del tanto peggio, tanto meglio (per loro): c’è chi sta facendo grossi affari sulle paure collettive, c’è chi si sta mangiando bocconi d’Italia a prezzi di saldo. E stimoliamo i nostri governanti a ricostruire un clima di fiducia, di normalità.

Se ci rendiamo conto che la nostra barca, bene o male, ha ripreso la navigazione, smetteremo di aggrapparci disperatamente ai salvagente. E ricominceremo a guardare avanti, a remare in una direzione; aiutando nel frattempo chi è finito dentro l’acqua e, annaspando, cerca di tornare sulla barca all’asciutto.