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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Economia

È l’ora dei Btp?

Una scelta da valutare con attenzione e fiducia del “dopo-crisi”

di Nicola SALVAGNIN

8 Novembre 2011

Un piccolo imprenditore che acquista una pagina del Corriere della sera per invitare gli italiani ad acquistare i titoli di Stato messi in crisi da un’ondata di sfiducia verso il nostro Paese. Una reazione – positiva – che nessuno si aspettava, con migliaia di adesioni piovute in poche ore, un effetto contagio che non ha solo basi nazionalistiche o “caritatevoli” nei confronti del nostro debito pubblico, 1.900 miliardi di euro in costante necessità di qualcuno che li sottoscriva.

Se ogni italiano sottoscrivesse 4.500 euro tra Bot, Btp e Cct – questo il ragionamento -, il debito pubblico italiano rimarrebbe in mano nostra, com’era tempo fa e come non lo è più. Si stima che un decimo sia stato acquistato dai cinesi, e poi da primarie banche europee e americane, da fondi arabi, da investitori internazionali che ora maneggiano più della metà dei nostri titoli di Stato. Investitori sensibili soprattutto ad un fatto: che lo Stato italiano onori i propri debiti.

Dopo il fallimento della Grecia, questa convinzione è andata scemando rapidamente, con un’ondata di vendite che – da agosto scorso – ha travolto i nostri Btp. Morale della favola: ora, per convincere gli investitori ad acquistare, lo Stato deve promettere interessi quasi doppi rispetto al luglio scorso. Se questa situazione dovesse perdurare nel tempo, noi italiani ci troveremmo a pagare decine di miliardi di euro di interessi in più ogni anno. Per i nostri conti pubblici (e per la nostra economia) sarebbe un contraccolpo quasi fatale.

Ma, si diceva, non c’è solo spirito di patriottismo o di emergenza a consigliare (per chi può) l’acquisto di un Btp, di investire cioè nei titoli di Stato italiani una parte dei propri risparmi. Se si è convinti che entro breve falliremo e finiremo tutti alla carità, astenetevi dal leggere le prossime righe: l’unica è salvare il salvabile, e magari dotarsi di un orto che garantisca almeno la minestra calda.

Se invece pensate che l’Italia abbia basi molto più solide delle traversie attuali, allora rendimenti dei titoli decennali che superano – e di molto – il 5% netto, consigliano di non perdere l’occasione di fare un buon affare. Non c’è alcun investimento in giro, altrettanto sicuro, che sia così fruttuoso. Né si consideri il mattone un bene rifugio: già ora non lo è, e se le cose andranno male lo sarà ancora di meno. Nei Paesi investiti dalla bufera (Spagna, Irlanda, Grecia, Usa nel 2008-2009) sono stati proprio gli investimenti immobiliari a crollare in modo fragoroso.

Comprare un nostro titolo di Stato è facilissimo, poco costoso, né costa tenerlo nel conto titoli bancario. È altrettanto facile venderlo, e quando la bufera sarà passata, vi accorgerete che il suo valore aumenterà proprio perché torneranno gli acquisti su Cct e Btp della settima potenza economica del mondo, l’Italia. Che ha un debito pubblico stratosferico, ma tenuto a bada e – sottostante – una ricchezza privata media che non hanno nemmeno gli americani.

Questo è il paradosso italiano: uno Stato indebitatissimo; cittadini mediamente benestanti e con casa di proprietà (più di tre su quattro), buoni risparmi e scarsi debiti. Per ora.

Chiaro però che lo sforzo di tutti – governanti e governati – deve essere quello di produrre nuova ricchezza, lavoro, occupazione, equa distribuzione. Un circolo virtuoso che ci permetterà di conservare un livello di benessere mai raggiunto prima nella storia italica; se invece la crisi si avviterà su se stessa, spariranno molti posti di lavoro, caleranno i consumi, quindi la produzione, quindi ulteriori posti di lavoro… in una spirale perversa che nessuno di noi ha nemmeno voglia di immaginare.