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Ucraina

Donetsk, città fantasma

Tanti morti e gente in fuga. Don Gregroriy Semenkov racconta che dove vivevano 100mila persone ora ne sono rimaste appena 5mila

di Maria Chiara BIAGIONI

16 Giugno 2014
Some ten thousand students rally in western Ukrainian city of Lviv on December 10, 2013, a day after Ukrainian police forced protesters who have blockaded the government headquarters in central Kiev for a week to move away from the building. Ukrainian President Viktor Yanukovych on Tuesday held talks with his three predecessors in a bid to defuse an escalating standoff with pro-EU protesters, as several demonstrators were injured in fresh clashes with police. With concern growing over the risk of an even bloodier confrontation between police and protesters, EU foreign policy chief Catherine Ashton and a top US State Department diplomat arrived in Kiev for talks with Yanukovych.  AFP PHOTO/ YURIY DYACHYSHYN

«È un disastro». La voce di don Gregroriy Semenkov è incrinata, appesantita dalla tristezza. Il sacerdote vive a Kharkiv, a 40 chilometri dalla Russia, e la diocesi cattolica latina comprende le città di Donetsk, Lugansk, Mariupol, Sloviansk, martoriate da un conflitto che di giorno in giorno sta prendendo i connotati di un vero e proprio calvario di sangue. Le notizie di don Gregroriy sono un bollettino di guerra.

«Mi riferiscono che a Donetsk la situazione è un disastro – racconta -. Fermano i pullman, entrano dentro con le armi, fanno uscire gli uomini e li portano via per poi utilizzarli come scudo umano durante gli attacchi. In città e in particolare all’aeroporto è pieno di gente morta e con il caldo hanno paura di epidemie. La città è piena di cadaveri. Una signora è venuta a Kharkiv per chiedere il visto per 300 bambini così da portarli via, in Polonia». Un’altra signora di Sloviansk ha raccontato che «mentre scappava e cercava di mettersi al riparo, ha visto che per terra c’era gente morta».

I combattimenti in questa regione ad est dell’Ucraina non cessano: le truppe di Kiev sono riuscite a liberare l’importante città portuale di Mariupol, nella regione separatista di Donetsk. Ma, nello stesso giorno, 49 soldati ucraini sono morti mentre erano a bordo di un cargo militare che trasportava truppe e rifornimenti all’aeroporto di Lugansk. Si è schiantato sotto il fuoco della contraerea dei separatisti filorussi. Si tratta della perdita più grave subita dalle forze governative da quando è cominciata l’offensiva militare di Kiev per cercare di sedare l’insurrezione nell’est dell’Ucraina.

I rifugiati

E come in ogni guerra, anche qui in questo angolo di Europa, la gente scappa. Cerca rifugio altrove, in un posto sicuro. Le cifre sono ancora tutte da verificare. L’agenzia “Risu.org” dice che 15mila persone hanno lasciato la città di Donetsk. Don Gregroriy racconta che a Sloviansk vivevano 100mila persone ed ora ne sono rimaste appena 5mila. Il consigliere del Ministro degli Interni dell’Ucraina, Zoryan Shkiryak, ha annunciato che le forze di sicurezza dell’Ucraina stanno organizzando nel nord della regione di Donetsk, nei pressi di Krasny Liman, un corridoio umanitario per poter permettere ai civili di lasciare le zone. Il governo sta attrezzando in questi giorni anche punti di accoglienza per i profughi e stilando liste.

La Chiesa vive a fianco della popolazione

A Sloviansk il parroco polacco non è più riuscito a rientrare in città. A Lugansk e a Donetsk i parroci sono ancora tutti lì. A Kharkiv, la situazione per ora è tranquilla. Ma le notizie e le allerte dei servizi segreti fanno vivere la popolazione in continua tensione. Le Messe vengono normalmente celebrate. È la preghiera la forza di questa gente. A Donetsk credenti di diverse Chiese pregano ogni giorno nel centro della città per la pace e l’unità dell’Ucraina. Una “maratona” di preghiera che il 12 giugno scorso ha celebrato il centesimo giorno con la partecipazione di 80 persone, presenza eccezionale vista la pericolosità di una iniziativa simile. Ora sul luogo di preghiera è stata allestita addirittura una tenda che il pastore protestante Sergey Kosiak definisce sulla sua pagina Facebook «un segno di speranza per la città». A Kharkiv l’appuntamento è in piazza Indipendenza ogni giorno alle 7 di mattina, sotto l’imponente statua di Lenin. Anche qui si prega per la pace e l’unità del Paese. E anche qui si prega insieme: cattolici, ortodossi, protestanti. Al suo ingresso in diocesi, le prime parole del vescovo monsignor Stanislao Szyrokoradiuk sono state «un appello di preghiera per la pace e un appello al digiuno perché la nostra forza è Dio e non sono le armi».