Stiamo attraversando tempi difficili, segnati da una violenza che sembra volersi superare di continuo. I recenti attentati terroristici, da Parigi a Tunisi come a Sanaa, nello Yemen, incutono timore e sgomento di fronte alla decisione omicida, all’incuranza nei confronti delle vite umane, all’odio che traspare dagli attentati e che sembra insanabile. Così anche in Nigeria, dove colpisce la terribile violenza cieca di chi distrugge villaggi, rapisce e uccide. E in diverse parti del mondo atterrisce la persecuzione in atto in particolare contro i cristiani. Non importano i nomi delle centrali del terrore, che sia l’Isis, o qualche gruppo affiliato, Boko Haram o altre sigle che si rincorrono. Il fatto è che l’escalation di violenza sembra senza freni, l’odio e l’intolleranza pervasivi.
Naturalmente il pensiero va alle vittime, ma viene da pensare anche a chi sopravvive e a chi è travolto da vicino da un’onda così devastante. In particolare ai più piccoli, ai bambini e ai ragazzi, coinvolti nei fatti di sangue, colpiti negli affetti e indifesi di fronti a realtà di morte e violenza. Come si può andare avanti? E con quali sentimenti, attese, prospettive nel cuore?
Sia pur con meno tragicità, le domande valgono tuttavia anche per chi assiste in posizione “di sicurezza”: chi è bombardato non dalle granate o dai proiettili veri della guerra e degli attentati, ma da quelli “virtuali” dei mass media, che arrivano in ogni casa. Dalle discussioni e dalle paure infinite che rimbalzano fin dentro le nostre abitazioni e che, nei più piccoli, hanno sicuramente un effetto amplificato. Come superare l’impressione che diversità portino necessariamente allo scontro? Che il dialogo e il confronto pacifico tra culture e religioni siano destinati a soccombere di fronte all’arroganza degli estremismi? Come vincere i sentimenti e la logica della vendetta?
Di fronte a questi scenari, la responsabilità dell’educazione emerge una volta di più e con grande evidenza. La sfida è quella di contrastare la prospettiva insinuante della violenza con la delicata determinazione della conoscenza e del rispetto che passano, appunto, dall’attività educativa. Nelle famiglie, certamente, ma in modo mirato e consapevole soprattutto a scuola.
Ne hanno parlato, la settimana scorsa, i ministri europei dell’Istruzione, sottoscrivendo insieme una dichiarazione in cui si impegnano a sostenere l’educazione alla cittadinanza, la promozione e l’insegnamento dei valori comuni come «libertà, dignità, diritti umani e lotta a ogni forma di discriminazione». Lo hanno fatto a Parigi, la città colpita dall’attacco a Charlie Hebdo, in qualche modo simbolo dell’intolleranza e della contrapposizione. Lo hanno fatto, tra l’altro, mettendo in comune le “buone pratiche” già in atto nei loro Paesi.
«A chi cerca di seminare paura con atti violenti, rispondiamo semplicemente con l’educazione ai valori», ha detto il ministro francese Najat Vallaud-Belkacem aprendo la riunione. Una posizione condivisa, poi dettagliata nelle sfumature legate alle iniziative già presenti nelle scuole europee. Così per l’Italia il ministro Giannini ha accennato all’impegno per l’«educazione alla cittadinanza», che pure è emerso tra le richieste legate al progetto della buona scuola. «Per ricreare coesione e comprensione – ha detto ancora Giannini – la conoscenza è uno strumento fondamentale. E la scuola è alla base di tutto, perché fornisce conoscenze, non solo competenze e strumenti ma anche valori». Per questo vale la pena “scommetterci”.