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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Stati Uniti

Dai cattolici no alle armi

Un’autentica mobilitazione, una lettera aperta al Senato, un duro intervento
sul “Washington Post”. E sostegno indiretto a Obama

di Damiano BELTRAMI corrispondente agenzia Sir da New York

15 Aprile 2013

Rifiutare con forza la cultura delle armi vuol dire costruire una cultura della vita. È questo il senso della lettera aperta rivolta al Senato Usa dal vescovo Stephen Blaire, presidente del Comitato “Giustizia e sviluppo umano” della Conferenza episcopale americana. «I quotidiani atti di violenza che turbano le nostre comunità e le nostre città – ha scritto monsignor Blaire – ci devono far rispondere all’appello di Papa Francesco che ci invita a trasformare l’odio in amore, la vendetta in perdono, la guerra in pace».

Posizione pro-life

Il richiamo del vescovo Blaire arriva solo qualche giorno dopo un intervento sul Washington Post della portavoce della Conferenza episcopale americana, Ann Mary Walsh. «Il forcipe per praticare l’aborto, l’ago per eseguire una sentenza di morte e il fucile d’assalto nelle mani dell’uomo della strada sono tutti strumenti aberranti; riflettono solo la brutalità della nostra società. La Chiesa cattolica si oppone a tutti questi strumenti di morte», ha spiegato Walsh in un passaggio chiave.

Riforma anti-armi

Al momento il presidente Barack Obama sta esercitando una forte pressione sul Congresso per arrivare all’approvazione di una nuova normativa in materia di armi che mira soprattutto a intensificare i controlli su chi intende acquistarne. Proprio questa settimana è scesa in campo anche la first lady Michelle Obama invitando il Congresso a «fare presto». La legge, definita dal vescovo Blaire un «passo nella giusta direzione», è solo all’inizio del suo iter, ma ha superato il primo scoglio al Senato. Il tentativo di bloccare l’iniziativa sul nascere da parte del Partito repubblicano è sfumata. Il percorso per l’approvazione è comunque tortuoso. Il Grand Old Party è storicamente contrario e sulla questione, ci sono molte riserve anche all’interno del Partito democratico, specie da parte di quei deputati e senatori che provengono da zone come il Midwest, dove la cultura dei fucili è diffusa e una posizione in favore della nuova legge potrebbe tramutarsi in una perdita di voti.

«I democratici per lungo tempo avevano smesso di parlare della questione delle armi – spiega, all’agenzia Sir, Bill Schneider, professore di Public Policy alla George Mason University -. Politicamente è un terreno minato. L’ultima volta che ci provarono per davvero fu nel settembre 1994. Il Congresso a maggioranza democratica approvò il divieto di possedere fucili d’assalto e il presidente Bill Clinton lo sottoscrisse. A novembre dello stesso anno i Democratici persero la maggioranza in Congresso. Da quel momento in poi i Democrats si sono guardati bene dall’agire in materia».

Vittime quotidiane

La decisione di Obama di impegnarsi in una nuova legislazione anti-armi è stata presa all’indomani della strage di Newtown in Connecticut in cui il 14 dicembre 2012 sono stati uccisi 20 bambini e sei persone che lavoravano alla scuola elementare Sandy Hook. Quella di Newtown è solo l’ultima carneficina di una lunga serie. Ogni giorno in America ben 84 persone vengono uccise da armi da fuoco, ovvero 30 mila all’anno: un terzo sono omicidi, mentre almeno 20 mila persone muoiono per incidenti con armi da fuoco. Negli anni, come ha scritto per esempio lo storico Richard Hofstadter, la “gun culture”, la cultura dei revolver, si è cristallizzata nel dna americano. Soprattutto di quella popolazione sparpagliata dal West Virginia all’Ohio passando per il Texas per la quale il fucile rappresenta un elemento centrale dell’identità. «L’immagine del pioniere-cacciatore che con la rivoltella si difende da animali selvaggi e nemici è stata fortemente romanzata», sottolinea Jimmy D. Taylor, professore associato di Sociologia alla Ohio University e autore del recente studio “American Gun Culture”. «Col tempo le armi sono divenute simbolo di patriottismo, di libertà e di un certo tipo di virilità».

Per Robert J. Spitzer, professore di Scienze politiche alla State University of New York e autore del libro “The Politics of Gun Control”, negli ultimi decenni «non si è mai giunti ad alcun tipo di regolamentazione perché – chiarisce all’agenza Sir – la potente lobby dei produttori di armi, è riuscita a spostare il baricentro del dibattito nazionale dal tema della regolamentazione del possesso di armi al controverso diritto accordato dalla Costituzione americana di possederle». Quel famoso “Secondo emendamento”, ratificato nel lontano 1791, era figlio del timore da parte della giovane nazione americana che gli inglesi tornassero. Il ragionamento era che se la gente fosse stata armata avrebbe potuto reagire rapidamente. Poi la minaccia della Corona inglese è scomparsa, ma il diritto dei singoli cittadini di possedere armi, di fatto, è rimasto. Nel 2008 anche la Corte suprema lo ha riconosciuto, dichiarando incostituzionale la norma della capitale Washington che invece ne vietava ai residenti il possesso. Dopo l’orribile strage di Newtown, però, qualcosa è cambiato nel sentire comune, e non è escluso che alla fine il Congresso approverà almeno qualche minima misura di controllo.