Puntuali, con l’autunno, tornano le proteste degli studenti. È infatti ormai un rito consolidato quello che si verifica a poco più di un mese dall’inizio delle scuole: tra ottobre e novembre spuntano i cortei nelle città, talvolta con dolorose code di scontri. Fanno rumore, riempiono i titoli dei media e poi tutto torna come prima in prossimità delle vacanze di Natale.
Anche quest’anno non poteva mancare la mobilitazione. Già sono scesi in piazza nelle città i primi gruppi organizzati e ci sono appuntamenti fissati in calendario per manifestazioni più o meno “grandi”. Per il diritto allo studio, contro i tagli alla scuola, per la valorizzazione dell’istruzione pubblica. Ma anche per solidarietà agli immigrati, o per il diritto alla casa e, inevitabilmente, contro il caro-libri e per attirare l’attenzione sull’edilizia scolastica fatiscente.
C’è sempre un po’ di tutto tra gli slogan di queste manifestazioni studentesche che chi si prendesse la briga di confrontare anno per anno, secondo i resoconti dei media, troverebbe molto simili. E proprio questo “poutpourri” di motivazioni finisce per far sottovalutare i cortei, derubricandoli quasi a folklore stagionale, poco incisivo. Quasi che gli studenti – e sono poi una parte piccola quelli che manifestano – avessero bisogno di una valvola di sfogo dopo le prime settimane di scuola.
Eppure, a ben vedere, le richieste sono sacrosante. In questi giorni, sotto lo slogan generale “Non c’è più tempo”, gli studenti hanno puntato l’indice soprattutto sulla necessità di invertire la tendenza nella politica scolastica, investendo di più nella scuola piuttosto che in altri settori. Perché la scuola è il futuro. Probabilmente anche il ministro Maria Chiara Carrozza è d’accordo. Anzi, direbbe che sta proprio cercando di fare questo, che ha “portato a casa” già qualche soldo in più, che addirittura ha riportato l’attenzione del Paese sulla scuola… Insomma, ministro e studenti alleati.
In effetti questo è un aspetto importante. E se le manifestazioni studentesche servissero ad aumentare la consapevolezza di chi la scuola la vive tutti i giorni – studenti in primis – sulla necessità di prenderla sul serio, sull’importanza che ha per la crescita individuale e collettiva, allora questo “rito autunnale” sarebbe già giustificato e utile. Anzi, per certi versi, può sembrare la rivendicazione di sano protagonismo da parte degli studenti, non solo “fruitori” delle politiche scolastiche o dei “servizi” del sistema di istruzione. Vogliono dire la loro, peraltro potendolo fare anche nelle forme organizzate di rappresentanza.
E qui si attacca, alle manifestazioni studentesche, un’altra problematica che attraversa non solo le scuole, ma il Paese e riguarda in generale i giovani, tra i quali serpeggiano sempre di più sfiducia e indifferenza, vista la depressione generale della società e dell’economia. Andare in piazza, gridare anche la rabbia e l’insoddisfazione – nei limiti della legalità – insieme alla voglia di cambiare e di esserci, diventa allora un’occasione da non sottovalutare.
Vale la pena di non lasciare il passo all’abitudine, al già visto. Piuttosto cercare di decifrare una volta di più slogan e disagio per raccogliere il buono che c’è.
La scuola è sempre un punto di partenza, Anche quando vive contrapposizione, è il luogo dove tendere le mani, dove cercare incontri, capirsi di più. Anche quando va in piazza.