Share

Economia

Crisi: la nottata finirà?

Una risposta sempre più rinviata

di Nicola SALVAGNIN

15 Maggio 2012

Noi italiani siamo convinti che il nostro stellone, alla fine, aggiusti ogni cosa. Abbiamo maturato nel corso di questi decenni di pace e prosperità un senso di fatalismo positivo che ci lascia un retropensiero di ottimismo anche nei momenti più difficili: vedrai, tutto si aggiusta. Infatti parliamo ancora oggi, a cinque anni di distanza dall’inizio, come di una crisi economica a U: c’è la discesa, ci sarà la risalita. Questione di fiducia, teniamo duro, poi passerà anche questa buia nottata.

Non ci sono le condizioni oggettive per coltivare simile ottimismo, e le recenti dichiarazioni dei nostri governanti (Mario Monti in primis) sono appunto memento collettivo di una fragilità delle condizioni di salute italiane ancora preoccupante. Anche perché la malattia potrebbe essere mortale: stiamo assistendo in diretta al disfacimento dello Stato greco, infettato da un virus risultato inguaribile.

Quel che ci preoccupava nel novembre 2011 – quando i partiti lasciarono il campo ai tecnici – continua a preoccuparci nel maggio 2012. La crisi dell’euro è ancora tutta lì, se crollasse la moneta unica ricorderemmo questi cinque anni come un paradiso, rispetto all’inferno che ci toccherà. La “ripresa economica” è solo la vuota formula con cui esprimiamo quel nostro ottimismo di fondo: non sappiamo nemmeno come avviare il discorso, e nessuno da fuori questa volta ci aiuterà.

Il debito pubblico è inscalfito, e ci costa sempre caro il continuare a rinnovare il nostro impegno con i creditori. Non abbiamo fatto alcuna vera riforma, cioè vero cambiamento strutturale, ma solo un doveroso e doloroso aggiustamento alle nostre abitudini di spesa, accoppiato a un’ulteriore e ultimativa spremitura dei nostri redditi.

All’appello mancano appunto gli aggiustamenti radicali a una macchina che perde colpi, cioè le riforme. Si parla, si discute, si filosofeggia. Ma la pubblica amministrazione – bolsa e costosa – non si sa come migliorarla; la legge elettorale pure; del ruolo dei partiti si discute mentre i partiti stessi sembrano gelati all’equatore; della giustizia non ne parliamo. Al Mezzogiorno è stata data di fresco la solita manciata di briciole che nemmeno sa raccogliere da terra, visto che la classe dirigente locale non è in grado neppure di spendere i fondi europei a disposizione.

Quindi non c’è nulla per cui rilassarsi. E invece stiamo già cominciando a farlo. Monti e i suoi collaboratori hanno la data di scadenza sul collo: febbraio 2013. Allora la legislatura si scioglierà per indire nuove elezioni, e i partiti stanno scervellandosi se aspettare fino ad allora, o cacciare i tecnici già quest’autunno. Ad attendere la deriva greca dei partiti italiani sono pure i nostri creditori, pronti a togliere fiducia al debito pubblico tricolore se vedranno che, a gestirlo, torneranno coloro che già una volta hanno completamente fallito. E nessuno più ci salverebbe.

Le nostre elites avrebbero bisogno di un salutare contatto con i territori che amministrano. Capire che la cassa integrazione di oggi non è altro che il preludio della disoccupazione di domani. Che i consumi interni sono in picchiata, dalle automobili fino addirittura ai prodotti alimentari. Che c’è un fortissimo bisogno di una buonissima politica portata avanti da persone avvedute e lungimiranti.

Non sono inopportuni gli appelli che presidente del Consiglio e ministri stanno lanciando in questi giorni all’opinione pubblica sulla gravità del momento. È inopportuno che la classe politica stessa abbia una deriva di stampo ellenico: partiti che giocano con il fuoco e solo per i propri interessi, mentre fuori crolla tutto.

Non è l’economia che governa le società, ma le società che scelgono le proprie regole economiche e il proprio futuro. Il punto nodale qui è la democrazia, non lo spread. Ma se lo spread impazzisce, salta la democrazia incapace di controllarlo, e i popoli allora sentono il bisogno di affidarsi a poteri forti, a uomini forti che sospendono le regole e “ci pensano loro”. Il Novecento ci ha raccontato questa storia più e più volte. Ecco: per quanto sembri incredibile a dirsi, forse gli italiani non hanno ben compreso la gravità del momento, convinti che prima o poi la nostra fatina azzurra farà abracadabra e tutto si sistemerà.