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Economia

“Btp Day”, la voglia di reagire

Un gesto simbolico per una svolta concreta: ridare fiducia al sistema-Italia

di Nicola SALVAGNIN

29 Novembre 2011

È stato soprattutto un gesto simbolico, la voglia di reagire a una situazione in cui il Paese appare impotente di fronte a un fenomeno di portata planetaria. Il “Btp Day” di lunedì 28 novembre – l’acquisto di titoli di Stato italiani favorito dalla mancata richiesta da parte delle banche delle commissioni di intermediazione – ha registrato un buon successo nella parte più delicata della questione: la fiducia.

C’è stato sì un forte aumento delle transazioni (doppie rispetto ai giorni precedenti, con molti acquisti fatti per poche migliaia di euro), segno che l’appello a sostenere il nostro debito pubblico si è fatto strada in molti portafogli italiani. Ma soprattutto si è fatto strada nei cuori, nella voglia di ridare fiducia al sistema-Italia, nel desiderio-necessità di riappropriarci del nostro destino.

Non poteva certo essere una simile mossa a cambiare il corso delle cose: un miliardo di euro di acquisti deve infatti scontrarsi con l’imponente mole (1.900 miliardi) di debito pubblico italiano detenuto da investitori di tutto il mondo. Ma quel che deve fare oggi l’Italia è soprattutto convincere il mondo che siamo una Nazione forte, patrimonializzata, con un’economia tutto sommato sana, con la capacità quindi non solo di pagare gli interessi su quel debito, ma pure di poterlo ridurre nel corso dei prossimi anni.

È questo che ci sta affossando. Gli investitori giapponesi, i fondi sovrani del Golfo, i fondi pensione canadesi od olandesi, le banche d’affari di Singapore o di New York (in una parola, “i mercati”): sono in troppi a non credere più anzitutto nell’euro, e a pensare che l’anello debole della moneta sia l’Italia. L’impalcatura più fragile di una moneta artificiale, senza un vero Stato dietro alle spalle.

Quindi, che fa questa pletora di investitori? Vende, anzi si libera dei nostri titoli di Stato. E i prezzi degli stessi da settimane sono in caduta libera. E i nuovi collocamenti di Bot e Btp scontano questa sfiducia: per trovare acquirenti, abbiamo dovuto promettere loro quasi il doppio degli interessi che pagavamo solo quattro mesi fa.

Allora ricompriamocelo, questo debito pubblico. Noi italiani sappiamo bene qual è la realtà del nostro Paese. Sappiamo che non siamo né la Grecia, né un’economia sottosviluppata. Che un’azione di governo ben mirata può rimetterci in carreggiata. Che quindi non c’è ragione di temere il fallimento dell’Italia.

Riacquistiamo questi Btp che gli stranieri vendono a basso prezzo! Sono un vero affare proprio perché si possono acquistare appunto a basso prezzo. Basterà tenerli fino a scadenza per vederseli rimborsati interamente, e in più incassare le cedole degli interessi. Una buona occasione per i nostri risparmi, con la garanzia dello Stato italiano. Ci credete, nel vostro Stato?

Metà del nostro debito pubblico è in mani straniere. Riappropriamocene, invertiamo il trend. Avremo di nuovo il futuro nelle nostre mani, e chi avrà avuto “coraggio” oggi, farà un affare per il futuro. Nel contempo, mandiamo nei palazzi europei i nostri governanti a chiedere al duo Merkel-Sarkozy che intenzioni ha. Vogliono dei veri Stati Uniti d’Europa, con una moneta potente e un ruolo effettivo nel pianeta? O vogliono tornare ai loro particolarismi, mandando a monte sessant’anni di pace, benessere, sviluppo dell’intero continente?

Qui urge chiarezza immediata. Perché è veramente questo che pensa di noi il resto del mondo: l’Unione europea è un castello di carte. Da spazzare via per fare chiarezza, da confinare in un angolo per fare spazio alle nuove super-potenze asiatiche e americane. Se così fosse, l’Italia dovrà ripensare la propria posizione nella geo-politica mondiale: se siamo l’appendice mal sopportata di una Grande Germania allargata, ritroviamo il nostro spazio nel Mare Nostrum, laddove siamo centrali e all’avanguardia per un bacino su cui convergono oltre 300 milioni di persone, dalla Turchia al Marocco, dalla Spagna all’Egitto. Oggi come duemila anni fa.