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Economia e finanze

Banca d’Italia: ora si guardi avanti

Dopo tante polemiche la nomina eccellente di Ignazio Visco a nuovo Governatore

di Nicola SALVAGNIN

24 Ottobre 2011

Forse è meglio non soffermarsi su come ci si è arrivati. Ma alla fine la nomina di Ignazio Visco a governatore della Banca d’Italia – in sostituzione di Mario Draghi, passato a dirigere la Bce – fa quadrare un cerchio che sembrava infuocato.

Visco era già vicedirettore dell’Istituto bancario, la sua è quindi una nomina “interna”, che non ha connotati prettamente politici e che segna una linea di continuità con la precedente gestione-Draghi. Fa contenti (quasi) tutti e dipana una matassa fatta di scontri tra Berlusconi – che doveva fare la scelta -, il ministro dell’Economia Tremonti (che avrebbe voluto Vittorio Grilli e non un “draghiano”) e il board di Bankitalia (favorevole a Fabrizio Saccomani).

Rimane una spina grande così da togliere a questa rosa: per avere l’appoggio francese alla nomina di Draghi alla Bce, Berlusconi aveva promesso la staffetta tra il nostro Lorenzo Bini Smaghi, che è consigliere nella Bce, e appunto un francese. Solo che la carica di Bini Smaghi non è nelle disponibilità del premier, né c’è stata la volontà dell’economista fiorentino di liberare un posto di enorme prestigio. Si era quindi addirittura profilata la volontà del premier di promuoverlo a governatore di Bankitalia, per rimuoverlo da dov’è. Ilniet del presidente della Repubblica Napolitano, preoccupato del terremoto che avrebbe provocato una simile scelta dentro la Banca d’Italia, ha fatto tramontare in 24 ore tale ipotesi. Rimane insomma da trovare una poltrona a un francese nella Bce. Se non succederà, saranno guai seri per Berlusconi: per Sarkozy e per la Francia è necessario avere rappresentanza dentro il tempio dell’euro. Però, come si dice: un nodo alla volta.

Il governatore di Bankitalia, figura decisiva nei decenni passati e sempre “esterna” alla politica, non ha più quel ruolo che appunto c’è stato al tempo della lira. Allora decideva il saggio d’interesse (e le svalutazioni) e la quantità di moneta stampata. Scelte che potevano fare la fortuna o meno del Paese. Oggi è perlopiù il guardiano del sistema bancario – di un sistema però sempre più ramificato all’estero, con controllanti e controllate che stanno oltrefrontiera – e ha un ufficio studi di grande valore. Se il Governatore dice qualcosa, la politica e l’economia tendono le orecchie; però è in Germania che si decidono i destini economici dell’Unione, e quindi pure i nostri. A Francoforte, dove sta alloggiata la Banca centrale europea e il suo ruolo di guardiano dell’euro; a Berlino, sede della Cancelleria tedesca, in questi ultimi anni diventata la vera padrona della politica europea.

Tra l’altro Draghi è stato accettato alla Bce dai tedeschi proprio perché professa idee del tutto simili a quelle che albergano dalle parti del governo Merkel: feroce attenzione ai conti pubblici dei singoli membri Ue, necessità di tenere sotto controllo le spese statali e l’inflazione. Per una Germania in boom industriale e secondo Paese esportatore al mondo dopo la Cina, non è lo sviluppo economico il problema numero uno: piuttosto, i debiti pubblici fuori controllo dei “cugini” europei, e l’inflazione che l’eccesso di moneta stampata per ripagarli può innescare. Da qui la consapevolezza di dover affrontare le varie crisi che stanno colpendo la Grecia, il Portogallo, ora l’Italia; ma c’è assoluta riluttanza a stampare nuova moneta per rassicurare i mercati.

A Berlino e a Francoforte si preferisce che a Roma, Atene e Madrid si stringa la cinghia. Ma non si considera – né si ha interesse a farlo – che queste economie si riprenderanno se sapranno stringerla, ma anche crescere economicamente, produrre nuova ricchezza. Soprattutto l’Italia, che deve certamente affrontare il moloch del debito pubblico, ma lo può fare solo se ricomincerà a lavorare e a esportare, insomma a produrre maggiore ricchezza con la quale ripagare i debiti. Se trasformerà il nostro Sud da zavorra a risorsa. Se contenderà ai concorrenti stranieri – tra cui i tedeschi – i nuovi mercati asiatici e sudamericani.

Questa è la strada di un procedere virtuoso che mantenga il nostro standard di vita (che non è solo potere d’acquisto di una tivù in 3D, ma anche pensioni, sussidi di disoccupazione, sanità, assistenza sociale, infrastrutture…). L’altra, la cinghia tirata, ci farebbe tornare indietro di decenni, al “poveri ma belli” che pensavamo di essere. A Visco, che dirà la sua alla Bce di Francoforte, il compito di non far da balia al possibile declino italiano.