Sirio 26-29 marzo 2024
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Dopo l’attentato di Parigi

Bagnasco:
«Mai violenza in nome della religione»

La reazione della Chiesa italiana nelle parole del Presidente e del Segretario generale della Cei. Un comunicato dell’Azione Cattolica, una nota dell'Ucsi

8 Gennaio 2015

Quanto accaduto a Parigi «è un fatto gravissimo che deve far riflettere non soltanto l’Europa, ma il mondo intero». Per questo «tutti auspichiamo che l’islam nel suo insieme possa condannare pubblicamente e con estrema chiarezza questo fatto gravissimo perché non si può mai fare violenza in nome di una religione, nessuna religione, e in nome di Dio». Così il cardinale Angelo Bagnasco commentando l’attentato compiuto ieri da due terroristi che, «nel nome di Allah», hanno aperto il fuoco e ucciso dodici persone facendo irruzione nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo. «Questi attentati esprimono una paura di essere ormai perdenti di fronte alla storia», ha spiegato il Cardinale parlando a margine della Messa che ha celebrato per gli operatori del lunapark di Genova. «La storia – ha aggiunto – non si può fermare e neppure l’islam, come nessun altro, può fermare la storia. Bisogna fare i conti con la storia. Chi non fa i conti con la storia è preso da paura, da angoscia, da panico e può diventare violento».

Bagnasco ha quindi ricordato il «valore della libertà» che «rischia di essere messo in discussione da questi attacchi assurdi che tutto il mondo deve assolutamente condannare». «La libertà – ha spiegato – è un grandissimo valore che ha le radici nel cuore dell’uomo e nel Vangelo che ha assunto l’umanità dell’uomo e l’ha elevata e perfezionata in Gesù. Non è l’invenzione di qualche cultura, ma è radicata nel Vangelo, una libertà per tutti, senza classi, senza censo, senza distinzione di cultura. La libertà è un valore che deve essere rapportato con altri valori come il bene, la giustizia, il rispetto, la dignità di ciascuno, il diritto alla propria religione nel rispetto di tutti gli altri». Per questo, ha concluso, «il mondo occidentale deve essere molto attento a coltivare i veri valori perché una libertà senza valori è una libertà vuota».

Galantino: «In croce il dialogo»

Quelle arrivate da Parigi «sono notizie terribili perché laddove c’è violenza sono sempre notizie terribili: in questo caso la crudeltà è maggiore perché ci sono vittime. Si tratta anche di un attentato programmato, quindi la crudeltà se possibile è anche maggiore. Evidentemente questo deve far riflettere tutti sulla vigilanza che bisogna avere: vigilanza sulla formazione, vigilanza nella condanna». Lo ha affermato monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, a margine di una conferenza stampa questa mattina a Firenze, in riferimento all’attentato al settimanale Charlie Hebdo. «Grazie a Dio – ha proseguito Galantino – da tutte le parti c’è stata condanna di quanto è successo perché anche il silenzio, anche il distinguere potrebbe configurarsi come una sorta di appoggio. Ma a questo tipo di crudeltà non esistono appoggi o spiegazioni che si possano dare, sono soltanto atti crudeli e basta». 

Interpellato dai giornalisti sugli atti di violenza che negli ultimi tempi sono stati compiuti in diversi Paesi del mondo contro Chiese e comunità cristiane, il segretario della Cei ha risposto: «Non derubricherei questi atti come attacchi alla Chiesa. Sono attacchi alle persone, alla libertà delle persone, attacchi alla convivenza tra i popoli. È evidente che poi in momenti diversi gli obiettivi di questa malvagità possono essere diversi: in alcuni casi è la Chiesa, è il cristianesimo». Con questi atti, ha proseguito, «prima di tutto viene minato il tentativo di far vivere insieme le persone, quali che siano le loro origini. In alcuni casi poi a essere messo in crisi, a essere messo in croce è il dialogo interreligioso, è la libertà religiosa».

Azione Cattolica: «Non accettare la spirale di odio»

Di fronte «a tanta ferocia non bisogna restare indifferenti». Così l’Azione cattolica italiana commenta l’attentato di ieri contro la sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo, esprimendo «orrore, sconcerto, abominio» per quanto accaduto: «Chi odia la vita e la libertà, come questi assassini, merita una risposta da parte di tutti: non stare al loro gioco. Non accettare la spirale dell’odio, ma allo stesso tempo non restare indifferenti, poiché quanto successo ieri è successo a noi». Per l’Ac bisogna «condannare “senza se e senza ma” chi usa il nome di Dio per uccidere» e «non recedere sul piano delle libertà e del diritto». Non bisogna «dimenticare mai quello che ci è stato insegnato da chi ci ha preceduto: libertà, giustizia e pace vanno difesi. Sempre. Sono i pilastri della nostra civiltà. Non possiamo e non dobbiamo rinunciarvi».

L’Ucsi: «Je suis Charlie. Ma forse non basta»

«Non è certo questo il momento per ragionare sui limiti della libertà di satira. Alle vittime va tutta la nostra solidarietà, di uomini e di giornalisti. Ai criminali il nostro disprezzo e la ferma volontà di combatterli». Lo scrive Andrea Melodia, presidente dell’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana), in una nota dal titolo Je suis Charlie. Ma forse non basta. In Italia e in Europa, spiega, si «fa davvero poco per preparare la società multietnica, multiculturale e multireligiosa che è già nel presente e che sempre più sarà quella futura». Negli Stati Uniti, osserva Melodia, «terra di immigrazione dalle origini, la scuola ha faticosamente costruito un suo dna a salvaguardia dell’unità politica e culturale della nazione, nel rispetto delle differenze etniche e religiose, tanto che il riemergere di tensioni e violenze è più spesso innescato dagli squilibri socioeconomici che da quelli culturali». «Se vale un principio di responsabilità – sottolinea il presidente Ucsi -, il servizio pubblico deve farsi carico della integrazione culturale in modo sistematico. Se vale un principio di responsabilità, il dialogo tra le tre grandi religioni deve diventare un punto focale ineludibile. Se vale un principio di responsabilità, dopo molte altre attenzioni più importanti si potrà perfino ragionare sulle autolimitazioni della satira per i temi etnici e religiosi».