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Giornata del rifugiato

Pakistan e Camerun, storie di ordinaria violenza

di Luisa BOVE Redazione

16 Giugno 2010

Storie di vite che spesso hanno dell’incredibile, come quella di Mhoamad e di Vincent. In 10 anni Mhoamad ha perso il suo lavoro, le terre e alcuni familiari. Ha lasciato moglie e figli (oggi di 10 e 13 anni) in Pakistan ed è fuggito. Fin da giovane faceva parte del movimento studentesco nella città di Sialkot, poi nel 1999 si è iscritto al partito del Pakistan Muslim League: si occupava delle persone in difficoltà per lavoro, salute o altro. Il 12 ottobre, dopo il colpo di Stato, è salito al potere Musharraf, che ha cercato di eliminare gli avversari politici con la corruzione. Mhoamad con altri suoi compagni è sceso in piazza a manifestare, è stato incarcerato e liberato due volte. Quando la sede del suo partito è stata chiusa, Mhoamad (vicepresidente a livello locale) ha iniziato a tenere le riunioni a casa sua.
Con una falsa denuncia è stato poi accusato di omicidio e di aver rapito il figlio di un avversario di partito. Costretto a lasciare la città, ha raggiunto Cipro con un passaporto falso e ha ottenuto asilo politico. È rimasto fino al 2006, quando suo fratello lo ha convinto a rientrare perché tra i due partiti era tornata la pace. Così Mhoamad è tornato nel suo villaggio a Targa, quindi si è trasferito con la famiglia a Lahore e ha aperto un negozio di libri. Lì subisce minacce e aggressioni pesanti, in seguito aggrediscono la moglie incinta che perde il bambino. Mhoamad scappa in Ucraina e poi in Ungheria, ma nel 2008, quando il Pakistan Muslim League risulta il secondo partito più votato, torna in Pakistan (è candidato come presidente del partito a Sialkot). Il 20 novembre si presenta in Tribunale dove viene ritirata l’antica denuncia e la sera in città festeggia con tutti i familiari; poi il padre, il fratello e il cognato tornano al villaggio, ma vengono aggrediti e uccisi. Ancora una volta Mhoamad capisce che non c’è pace e a malincuore scappa in Croazia, quindi arriva in Italia nell’aprile 2009. Ora ha un permesso di soggiorno temporaneo, ha chiesto asilo politico, ma la sua domanda è stata rigettata. Ha già presentato ricorso e a ottobre attende la sentenza del Tribunale di Milano.
Vincent, invece, ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari. La sua odissea è iniziata nel novembre 2006, quando ha lasciato Douala (Camerun) per raggiungere il Ciad. Meccanico di camion ha chiesto un passaggio a un autista in cambio di eventuali riparazioni durante il viaggio. A N’Djamena ha cercato invano un amico. Con sé aveva solo il corrispettivo di 72 euro, la sacca con i ferri del mestiere e qualche manuale. Ha trovato ospitalità di fortuna e ha lavorato 4 mesi in un’officina, «ma in Ciad c’era la guerra e io avevo paura, così sono andato in Nigeria dove ho incontrato un amico del Centrafrica», dice Vincent.
Insieme hanno cercato lavoro, ma Urbain ha venduto la sua valigia di vestiti per mangiare. Sono poi andati in Niger e in Algeria, ma l’autista non ha varcato il confine e i due amici hanno dovuto attraversare a piedì 40 chilometri di deserto con un litro d’acqua: «Avevo paura e ho pensato alla mia famiglia. Mi dicevo: per noi è la fine e mi sono messo a pregare».
Ne sono usciti vivi per miracolo. Poi Vincent è arrivato in Libia e a Tripoli (dove ha vissuto più di un anno) nell’ottobre 2008 si è imbarcato e ha raggiunto l’Italia. A Lampedusa è rimasto 6 mesi in un Centro di permanenza temporanea, poi è andato a Napoli, Padova e nel giugno 2009 è arrivato a Milano. Ha ottenuto una borsa-lavoro come addetto alla vendita e scaffalista in una ditta di Rozzano, ha fatto lo steward a San Siro e ora che la stagione calcistica è finita cerca un’altra occupazione. Intanto da settimana scorsa ha iniziato a frequentare un corso di elettricista. Storie di vite che spesso hanno dell’incredibile, come quella di Mhoamad e di Vincent. In 10 anni Mhoamad ha perso il suo lavoro, le terre e alcuni familiari. Ha lasciato moglie e figli (oggi di 10 e 13 anni) in Pakistan ed è fuggito. Fin da giovane faceva parte del movimento studentesco nella città di Sialkot, poi nel 1999 si è iscritto al partito del Pakistan Muslim League: si occupava delle persone in difficoltà per lavoro, salute o altro. Il 12 ottobre, dopo il colpo di Stato, è salito al potere Musharraf, che ha cercato di eliminare gli avversari politici con la corruzione. Mhoamad con altri suoi compagni è sceso in piazza a manifestare, è stato incarcerato e liberato due volte. Quando la sede del suo partito è stata chiusa, Mhoamad (vicepresidente a livello locale) ha iniziato a tenere le riunioni a casa sua.Con una falsa denuncia è stato poi accusato di omicidio e di aver rapito il figlio di un avversario di partito. Costretto a lasciare la città, ha raggiunto Cipro con un passaporto falso e ha ottenuto asilo politico. È rimasto fino al 2006, quando suo fratello lo ha convinto a rientrare perché tra i due partiti era tornata la pace. Così Mhoamad è tornato nel suo villaggio a Targa, quindi si è trasferito con la famiglia a Lahore e ha aperto un negozio di libri. Lì subisce minacce e aggressioni pesanti, in seguito aggrediscono la moglie incinta che perde il bambino. Mhoamad scappa in Ucraina e poi in Ungheria, ma nel 2008, quando il Pakistan Muslim League risulta il secondo partito più votato, torna in Pakistan (è candidato come presidente del partito a Sialkot). Il 20 novembre si presenta in Tribunale dove viene ritirata l’antica denuncia e la sera in città festeggia con tutti i familiari; poi il padre, il fratello e il cognato tornano al villaggio, ma vengono aggrediti e uccisi. Ancora una volta Mhoamad capisce che non c’è pace e a malincuore scappa in Croazia, quindi arriva in Italia nell’aprile 2009. Ora ha un permesso di soggiorno temporaneo, ha chiesto asilo politico, ma la sua domanda è stata rigettata. Ha già presentato ricorso e a ottobre attende la sentenza del Tribunale di Milano.Vincent, invece, ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari. La sua odissea è iniziata nel novembre 2006, quando ha lasciato Douala (Camerun) per raggiungere il Ciad. Meccanico di camion ha chiesto un passaggio a un autista in cambio di eventuali riparazioni durante il viaggio. A N’Djamena ha cercato invano un amico. Con sé aveva solo il corrispettivo di 72 euro, la sacca con i ferri del mestiere e qualche manuale. Ha trovato ospitalità di fortuna e ha lavorato 4 mesi in un’officina, «ma in Ciad c’era la guerra e io avevo paura, così sono andato in Nigeria dove ho incontrato un amico del Centrafrica», dice Vincent.Insieme hanno cercato lavoro, ma Urbain ha venduto la sua valigia di vestiti per mangiare. Sono poi andati in Niger e in Algeria, ma l’autista non ha varcato il confine e i due amici hanno dovuto attraversare a piedì 40 chilometri di deserto con un litro d’acqua: «Avevo paura e ho pensato alla mia famiglia. Mi dicevo: per noi è la fine e mi sono messo a pregare».Ne sono usciti vivi per miracolo. Poi Vincent è arrivato in Libia e a Tripoli (dove ha vissuto più di un anno) nell’ottobre 2008 si è imbarcato e ha raggiunto l’Italia. A Lampedusa è rimasto 6 mesi in un Centro di permanenza temporanea, poi è andato a Napoli, Padova e nel giugno 2009 è arrivato a Milano. Ha ottenuto una borsa-lavoro come addetto alla vendita e scaffalista in una ditta di Rozzano, ha fatto lo steward a San Siro e ora che la stagione calcistica è finita cerca un’altra occupazione. Intanto da settimana scorsa ha iniziato a frequentare un corso di elettricista.