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Esteri

Obama e la marea nera

di Piero ISOLA Redazione

5 Maggio 2010

Passata la nube, ecco la marea. Quella grigia di cenere, questa nera di petrolio. Che altro possiamo attenderci? L’invasione delle cavallette? O dei topi, magari fuorusciti in massa dalle loro tane per qualche imperscrutabile fenomeno nelle viscere della Terra? Cos’altro “vomiterà” il nostro pianeta, quasi un gesto di disgusto per gli attacchi che da secoli si perpetuano all’ambiente? La faccenda rischia di farsi seria (ma già lo è), con venature comiche, come sempre accade nelle faccende più serie.
In un mondo in cui il progresso tecnologico e scientifico sembra, a volte, rendere tutto possibile, eccoci di fronte ad accadimenti di fronte ai quali, invece, non possiamo far niente. E sì, che sembrerebbe una faccenda di tappi! Ma mettere un tappo sulla bocca del vulcano che erutta vapore e ceneri ancora non si può. Metterne un altro sul pozzo sottomarino che vomita petrolio si potrebbe (è una delle soluzioni prospettate), ma ugualmente per ora non si può, perché, mai come questa volta, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
Ed ecco l’onda nera riversarsi sulle coste della Louisiana e, paradossalmente, spingersi ancora più in là, attraversare la terra ferma e arrivare fino alla Casa Bianca, a lambire e “macchiare” finanche l’amministrazione Obama. Il presidente si è precipitato in Louisiana, a Venice, a rassicurare i pescatori («tranquilli, pagherà tutto la British Petroleum»), dopo aver dato lo stop alle trivellazioni marine in tutti gli Stati Uniti. Ma a giudizio degli oppositori e di buona parte dell’opinione pubblica americana si è mosso troppo tardi. Colpa grave in un Paese dove, notoriamente, cadono presto le simpatie per chi non sa prendere decisioni in tempo. Il disastro ormai è fatto: i buoi, anzi i pesci, altro che fuggiti, sono bell’e spacciati.
La “macchia nera” lambisce Obama in un momento in cui la sua popolarità a livello nazionale e internazionale è decisamente in ribasso, “merito”, tra l’altro, del via libera presidenziale alla costruzione della superbomba non nucleare (ma dagli effetti parimenti devastanti), il che appare decisamente incoerente per un personaggio omaggiato anzitempo del Nobel per la pace. Aggiungeteci, come contorno, il colpo (basso) di un settimanale scandalistico americano, subito ripreso dall’opposizione e da altri giornali, secondo cui il presidente avrebbe tradito la moglie e il quadro per Obama in questo momento non è dei più rilassanti.
Un tappo, uno qualsiasi, potrebbe turare almeno la falla apertasi nel Golfo del Messico. Il portafoglio americano, per ora, è salvo, stando alle dichiarazioni della Bp di accollarsi tutte le spese del disastro (se basteranno i dollari dei pur ricchi petrolieri). Ma anche la Bp, con tutta la sua ricchezza, la sua esperienza, la sua riconosciuta politica “verde” (non per niente ha modificato la ragione sociale in Beyond Petroleum, “Oltre il petrolio”), un tappo, un semplice tappo, per dire una soluzione qualsiasi, in questo mondo ipertecnologico e impotente, non sa trovarlo. Passata la nube, ecco la marea. Quella grigia di cenere, questa nera di petrolio. Che altro possiamo attenderci? L’invasione delle cavallette? O dei topi, magari fuorusciti in massa dalle loro tane per qualche imperscrutabile fenomeno nelle viscere della Terra? Cos’altro “vomiterà” il nostro pianeta, quasi un gesto di disgusto per gli attacchi che da secoli si perpetuano all’ambiente? La faccenda rischia di farsi seria (ma già lo è), con venature comiche, come sempre accade nelle faccende più serie.In un mondo in cui il progresso tecnologico e scientifico sembra, a volte, rendere tutto possibile, eccoci di fronte ad accadimenti di fronte ai quali, invece, non possiamo far niente. E sì, che sembrerebbe una faccenda di tappi! Ma mettere un tappo sulla bocca del vulcano che erutta vapore e ceneri ancora non si può. Metterne un altro sul pozzo sottomarino che vomita petrolio si potrebbe (è una delle soluzioni prospettate), ma ugualmente per ora non si può, perché, mai come questa volta, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.Ed ecco l’onda nera riversarsi sulle coste della Louisiana e, paradossalmente, spingersi ancora più in là, attraversare la terra ferma e arrivare fino alla Casa Bianca, a lambire e “macchiare” finanche l’amministrazione Obama. Il presidente si è precipitato in Louisiana, a Venice, a rassicurare i pescatori («tranquilli, pagherà tutto la British Petroleum»), dopo aver dato lo stop alle trivellazioni marine in tutti gli Stati Uniti. Ma a giudizio degli oppositori e di buona parte dell’opinione pubblica americana si è mosso troppo tardi. Colpa grave in un Paese dove, notoriamente, cadono presto le simpatie per chi non sa prendere decisioni in tempo. Il disastro ormai è fatto: i buoi, anzi i pesci, altro che fuggiti, sono bell’e spacciati.La “macchia nera” lambisce Obama in un momento in cui la sua popolarità a livello nazionale e internazionale è decisamente in ribasso, “merito”, tra l’altro, del via libera presidenziale alla costruzione della superbomba non nucleare (ma dagli effetti parimenti devastanti), il che appare decisamente incoerente per un personaggio omaggiato anzitempo del Nobel per la pace. Aggiungeteci, come contorno, il colpo (basso) di un settimanale scandalistico americano, subito ripreso dall’opposizione e da altri giornali, secondo cui il presidente avrebbe tradito la moglie e il quadro per Obama in questo momento non è dei più rilassanti.Un tappo, uno qualsiasi, potrebbe turare almeno la falla apertasi nel Golfo del Messico. Il portafoglio americano, per ora, è salvo, stando alle dichiarazioni della Bp di accollarsi tutte le spese del disastro (se basteranno i dollari dei pur ricchi petrolieri). Ma anche la Bp, con tutta la sua ricchezza, la sua esperienza, la sua riconosciuta politica “verde” (non per niente ha modificato la ragione sociale in Beyond Petroleum, “Oltre il petrolio”), un tappo, un semplice tappo, per dire una soluzione qualsiasi, in questo mondo ipertecnologico e impotente, non sa trovarlo.