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Intervista

«Le parole dell’Arcivescovo uno stimolo a migliorare»

Luigi Pagano, provveditore generale delle carceri lombarde, parla dei problemi strutturali di San Vittore, del turn-over e del trasferimento da piazza Filangieri a Porto di Mare dove sorgerà la Cittadella della giustizia

di Pino NARDI Redazione

12 Gennaio 2010
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Le parole forti del cardinal Tettamanzi sulla condizione di vita a San Vittore sono uno stimolo a migliorare una situazione che presenta notevoli problemi strutturali. Lo sostiene Luigi Pagano, provveditore regionale alle carceri, per tanti anni direttore di San Vittore.

L’Arcivescovo nella sua recente visita ha parlato di «pena» e «sconcerto», «offensive della dignità umana». Cosa ne pensa?
Le parole del cardinal Tettamanzi – e già prima quelle del cardinal Martini – sono uno stimolo innanzitutto per un’autocritica che un’amministrazione pubblica è bene che faccia anche per migliorarsi. La situazione si è evoluta, ma anche involuta. Quando c’era il cardinal Martini San Vittore aveva 2400 detenuti però con tutti i reparti aperti, ma non erano stati ristrutturati. Proprio quella denuncia nel 2000 all’epoca del Giubileo ci portò a chiudere alcuni reparti, ristrutturarli e nel contempo aprire Bollate, che doveva sostituire San Vittore. L’esperienza di Bollate è andata crescendo tanto che credo sia uno dei pochi modelli esportabili a livello nazionale. Non per 100-200 detenuti – come spesso si sente dire – ma è un istituto per 1100 persone dove la maggior parte di loro esce al lavoro esterno.

Eppure a San Vittore la vita rimane in queste condizioni così precarie…
Il problema è che San Vittore sembra rimasto sempre uguale a sé stesso: è una casa circondariale del 1879, nonostante la ristrutturazione e i soldi che l’Amministrazione ci investe è evidente che non riesce a reggere una presenza che supera una certa soglia. Essendo però una casa circondariale quelle persone non le puoi rifiutare per motivi di legittimità e di legalità, perché sono arrestate e devono essere a disposizione dell’Autorità giudiziaria, ma anche dell’avvocato per la difesa. Poi San Vittore non si sviluppa in verticale, ma in orizzontale, con forti limiti in servizi che consentono di non tenere il detenuto sempre in cella, ma di destinarlo a laboratori, aule scolastiche, campo sportivo.

E anche la questione della rieducazione qui è impraticabile…
A San Vittore non ci sono detenuti definitivi, anche volendo non si può parlare di rieducazione in quanto è una casa circondariale. Per questo abbiamo insistito sull’accoglienza, proprio per cercare di attenuare lo choc dell’imprigionamento. Nonostante la situazione strutturale, ci siamo riusciti abbastanza bene: San Vittore che vede l’ingresso di 6 mila persone all’anno e di altre 6 mila ne vede uscire, per quattro anni non ha avuto situazioni suicidarie. Però ripeto il problema sono gli ingressi, l’impossibilità di uscire dal sovraffollamento.

Insomma, San Vittore è un "porto di mare"…
Esatto, qui c’è l’impatto dei 30-40 arrivi al giorno di persone che poi al 40-50% escono a distanza di pochi giorni. Se dovessero rimanere per un certo periodo si potrebbe lavorare meglio. Il dramma di San Vittore oltre alla persistenza del numero è dato anche dal turn-over di queste 6 mila persone che vanno e che vengono. Significa ricominciare da capo ogni giorno con risorse che in definitiva si investe malamente. Un esempio: oggi arriva il detenuto, lo fai vedere dal dentista, però magari esce tre giorni dopo. Così hai ridotto una risorsa economica per un altro detenuto che deve rimanere un po’ di più. Questo vale anche per il neurologo, lo psichiatra, fino agli agenti di Polizia penitenziaria, a tutto l’apparato che si deve muovere per evitare i traumi da incarcerazione.

Quanto pesa la forte presenza di stranieri a San Vittore?
Molto: è il motivo principale, che oggi si è accentuato non tanto per l’aver qualificato come reato l’irregolarità, quanto perché la maggior parte di queste persone va ad essere espulsa. Quindi pensare a un discorso di trattamento rieducativo non ha senso. Secondo problema: la mancanza di condizioni sociali. Se non hai un lavoro – e non lo puoi avere perché sei irregolare -, non hai una casa, una famiglia e molte volte non la puoi dimostrare, non puoi ipotizzare per loro alternative alla detenzione, perché mancano le condizioni sociali per poterle realizzare. Allora per reati anche di poco conto che potrebbero avere la misura alternativa, che gli italiani in genere ottengono, a loro non gliela puoi dare. Sono quelli che rimangono in galera che intasano e che subiscono poi gli stessi effetti del sovraffollamento. Quelli che ha visto il Cardinale per la maggior parte sono detenuti stranieri, per i quali si è levato il suo grido d’allarme.

Si parla da molti anni dello spostamento del carcere dal centro a Porto di Mare. Come valuta il progetto?
Guardi, io sono affezionato a San Vittore. Però non ne farei una battaglia ideologica. Bollate ha dimostrato che anche in periferia si può realizzare un istituto con i servizi. Il problema per una casa circondariale è diverso e in questo andava molto meglio il progetto della Cittadella della giustizia. Perché il punto è che poi devi spostare a Palazzo di giustizia centinaia di detenuti: partire un domani da Porto di Mare può significare affrontare il traffico con pullman che portano 100-200 persone. Quindi ci sono motivi di sicurezza, di traffico e di tempo. Allora è evidente che sarebbe stato più logico e più coerente affiancare il carcere al Tribunale. In alternativa si può riportare San Vittore agli 800-900 detenuti, ospitando solo imputati fino al primo grado, spostandoli poi in altri istituti. Le parole forti del cardinal Tettamanzi sulla condizione di vita a San Vittore sono uno stimolo a migliorare una situazione che presenta notevoli problemi strutturali. Lo sostiene Luigi Pagano, provveditore regionale alle carceri, per tanti anni direttore di San Vittore.L’Arcivescovo nella sua recente visita ha parlato di «pena» e «sconcerto», «offensive della dignità umana». Cosa ne pensa?Le parole del cardinal Tettamanzi – e già prima quelle del cardinal Martini – sono uno stimolo innanzitutto per un’autocritica che un’amministrazione pubblica è bene che faccia anche per migliorarsi. La situazione si è evoluta, ma anche involuta. Quando c’era il cardinal Martini San Vittore aveva 2400 detenuti però con tutti i reparti aperti, ma non erano stati ristrutturati. Proprio quella denuncia nel 2000 all’epoca del Giubileo ci portò a chiudere alcuni reparti, ristrutturarli e nel contempo aprire Bollate, che doveva sostituire San Vittore. L’esperienza di Bollate è andata crescendo tanto che credo sia uno dei pochi modelli esportabili a livello nazionale. Non per 100-200 detenuti – come spesso si sente dire – ma è un istituto per 1100 persone dove la maggior parte di loro esce al lavoro esterno.Eppure a San Vittore la vita rimane in queste condizioni così precarie… Il problema è che San Vittore sembra rimasto sempre uguale a sé stesso: è una casa circondariale del 1879, nonostante la ristrutturazione e i soldi che l’Amministrazione ci investe è evidente che non riesce a reggere una presenza che supera una certa soglia. Essendo però una casa circondariale quelle persone non le puoi rifiutare per motivi di legittimità e di legalità, perché sono arrestate e devono essere a disposizione dell’Autorità giudiziaria, ma anche dell’avvocato per la difesa. Poi San Vittore non si sviluppa in verticale, ma in orizzontale, con forti limiti in servizi che consentono di non tenere il detenuto sempre in cella, ma di destinarlo a laboratori, aule scolastiche, campo sportivo.E anche la questione della rieducazione qui è impraticabile…A San Vittore non ci sono detenuti definitivi, anche volendo non si può parlare di rieducazione in quanto è una casa circondariale. Per questo abbiamo insistito sull’accoglienza, proprio per cercare di attenuare lo choc dell’imprigionamento. Nonostante la situazione strutturale, ci siamo riusciti abbastanza bene: San Vittore che vede l’ingresso di 6 mila persone all’anno e di altre 6 mila ne vede uscire, per quattro anni non ha avuto situazioni suicidarie. Però ripeto il problema sono gli ingressi, l’impossibilità di uscire dal sovraffollamento.Insomma, San Vittore è un "porto di mare"…Esatto, qui c’è l’impatto dei 30-40 arrivi al giorno di persone che poi al 40-50% escono a distanza di pochi giorni. Se dovessero rimanere per un certo periodo si potrebbe lavorare meglio. Il dramma di San Vittore oltre alla persistenza del numero è dato anche dal turn-over di queste 6 mila persone che vanno e che vengono. Significa ricominciare da capo ogni giorno con risorse che in definitiva si investe malamente. Un esempio: oggi arriva il detenuto, lo fai vedere dal dentista, però magari esce tre giorni dopo. Così hai ridotto una risorsa economica per un altro detenuto che deve rimanere un po’ di più. Questo vale anche per il neurologo, lo psichiatra, fino agli agenti di Polizia penitenziaria, a tutto l’apparato che si deve muovere per evitare i traumi da incarcerazione.Quanto pesa la forte presenza di stranieri a San Vittore?Molto: è il motivo principale, che oggi si è accentuato non tanto per l’aver qualificato come reato l’irregolarità, quanto perché la maggior parte di queste persone va ad essere espulsa. Quindi pensare a un discorso di trattamento rieducativo non ha senso. Secondo problema: la mancanza di condizioni sociali. Se non hai un lavoro – e non lo puoi avere perché sei irregolare -, non hai una casa, una famiglia e molte volte non la puoi dimostrare, non puoi ipotizzare per loro alternative alla detenzione, perché mancano le condizioni sociali per poterle realizzare. Allora per reati anche di poco conto che potrebbero avere la misura alternativa, che gli italiani in genere ottengono, a loro non gliela puoi dare. Sono quelli che rimangono in galera che intasano e che subiscono poi gli stessi effetti del sovraffollamento. Quelli che ha visto il Cardinale per la maggior parte sono detenuti stranieri, per i quali si è levato il suo grido d’allarme.Si parla da molti anni dello spostamento del carcere dal centro a Porto di Mare. Come valuta il progetto?Guardi, io sono affezionato a San Vittore. Però non ne farei una battaglia ideologica. Bollate ha dimostrato che anche in periferia si può realizzare un istituto con i servizi. Il problema per una casa circondariale è diverso e in questo andava molto meglio il progetto della Cittadella della giustizia. Perché il punto è che poi devi spostare a Palazzo di giustizia centinaia di detenuti: partire un domani da Porto di Mare può significare affrontare il traffico con pullman che portano 100-200 persone. Quindi ci sono motivi di sicurezza, di traffico e di tempo. Allora è evidente che sarebbe stato più logico e più coerente affiancare il carcere al Tribunale. In alternativa si può riportare San Vittore agli 800-900 detenuti, ospitando solo imputati fino al primo grado, spostandoli poi in altri istituti.