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La visita

Gheddafi, quanto clamore

Perché in Italia tutto questo spazio, che nessuno all'estero offre?

di Riccardo MORO Redazione

1 Settembre 2010

Quanto inchiostro versato per l’ennesima sceneggiata di Muammar Gheddafi… È difficile formulare considerazioni sensate in mezzo a tutto il clamore generato dalla visita del Colonnello in Italia. Vorremmo sottrarci al gioco di chi consapevolmente o meno alimenta reazioni e provocazioni, in una confusione che ha come obiettivo quello di nascondere da un lato l’inconsistenza politica, dall’altro gli affari.
Sì, inconsistenza. La “Guida della grande rivoluzione della Jamahiriya araba socialista libica del 1° settembre”, come ama farsi definire ufficialmente in alternativa alle altre due formule – “Capo fraterno e guida della rivoluzione” o “Re dei re dell’Africa” – ha tentato negli ultimi anni di giocare un ruolo internazionale rilevante, ma senza successo. Messo nell’angolo dalle potenze occidentali a seguito dell’evidenza delle sue responsabilità nell’attentato di Lockerbie del 1988, Gheddafi, dopo anni passati a finanziare i movimenti antioccidentali più fondamentalisti e violenti, ha cambiato diametralmente le sue posizioni, cedendo il ruolo di nemico irriducibile degli Usa e dei suoi alleati per trasformarsi nei fatti in un leader dalle posizioni moderate in campo internazionale. Braccato dai servizi segreti anglo-americani e dal Mossad, preoccupato della sua sopravvivenza, fisica e politica, e sentendo venir meno anche il consenso in patria, ha cercato di “vendersi” nella maniera migliore, offrendo, in cambio del suo mantenimento al potere, disponibilità politica e accordi commerciali.
Così sul piano politico Gheddafi, abbandonata la causa pan-araba e il terrorismo, ha iniziato con la stessa esuberanza a promuovere il processo di aggregazione che ha portato all’Unione africana (Ua), finanziandone passi importanti, con la benedizione segreta dell’Occidente. Durante l’anno scorso i leader africani lo hanno nominato alla presidenza pro tempore dell’Ua, sperando che il suo ruolo potesse essere utile per migliorare i rapporti sia con l’Occidente sia con il mondo arabo e musulmano. Ma Gheddafi, oltre l’indipendenza politica, ha esaurito anche il suo credito: la sua presidenza è stata del tutto inefficace e con suo dispetto a gennaio di quest’anno l’incarico non gli è stato rinnovato. Interessante in proposito è leggere i commenti della stampa nei vari Paesi africani. Indispettiti i commenti dopo la penosa figura all’assemblea generale delle Nazioni Unite di settembre, addirittura spocchiosi gli editoriali pubblicati dopo l’ultima riunione del Consiglio di pace e sicurezza dell’Ua a Kampala all’inizio di agosto, che definiscono il leader libico folklore vecchio e irrilevante.
Esaurita la carta politica Gheddafi gioca quella commerciale. Ricco dei proventi del petrolio stringe accordi di collaborazione commerciale e industriale, che mirano a migliorare il capitale di infrastrutture della Libia e a garantire alla “Guida” incassi non solo dal greggio, ma anche dalle commesse delle imprese che fanno affari con la Libia. Sospetta è stata la liberazione di uno dei responsabili della strage di Lockerbie da parte delle autorità scozzesi, cui è seguito a breve un accordo di estrazione tra Governo libico e British Petroleum. Più trasparente, anche se tutta da sviluppare, la collaborazione commerciale con la Francia per l’uso civile dell’energia nucleare.
Anche con questi Paesi, però, l’intemperanza di Gheddafi genera fatiche, che hanno conseguenze in termini di consenso in patria. Così Gheddafi ha bisogno di collaborazioni industriali con partner italiani, come quella per l’autostrada sulle coste libiche, costruita da imprese italiane e pagata con soldi pubblici del nostro Paese, o la trasformazione della rete elettrica libica che coinvolgerebbe Terna e Enel o ancora l’investimento nel settore petrolifero immaginato per Eni, senza dimenticare la collaborazione in campo finanziario e bancario, che già vede un ruolo di Unicredit. Detto questo non si può sorvolare sulla questione dei diritti umani e non chiedersi che cosa accade a chi, respinto dall’Italia, rimane, chissà in che condizioni, “trattenuto” in Libia.
Gheddafi ha bisogno dell’Italia, che gli offre un palcoscenico unico per mostrarsi, soprattutto alla tv libica, come paladino dell’orgoglio nazionale, arabo e musulmano. La spirale di provocazioni ad effetto in cui Gheddafi si avvita sempre di più, per essere chiari, è efficace solo in Italia. Nessuno all’estero gli offre spazi per una tenda inutile e inutilizzata, né aspiranti veline ad ascoltarlo a pagamento. Perché da noi succede? Quanto inchiostro versato per l’ennesima sceneggiata di Muammar Gheddafi… È difficile formulare considerazioni sensate in mezzo a tutto il clamore generato dalla visita del Colonnello in Italia. Vorremmo sottrarci al gioco di chi consapevolmente o meno alimenta reazioni e provocazioni, in una confusione che ha come obiettivo quello di nascondere da un lato l’inconsistenza politica, dall’altro gli affari.Sì, inconsistenza. La “Guida della grande rivoluzione della Jamahiriya araba socialista libica del 1° settembre”, come ama farsi definire ufficialmente in alternativa alle altre due formule – “Capo fraterno e guida della rivoluzione” o “Re dei re dell’Africa” – ha tentato negli ultimi anni di giocare un ruolo internazionale rilevante, ma senza successo. Messo nell’angolo dalle potenze occidentali a seguito dell’evidenza delle sue responsabilità nell’attentato di Lockerbie del 1988, Gheddafi, dopo anni passati a finanziare i movimenti antioccidentali più fondamentalisti e violenti, ha cambiato diametralmente le sue posizioni, cedendo il ruolo di nemico irriducibile degli Usa e dei suoi alleati per trasformarsi nei fatti in un leader dalle posizioni moderate in campo internazionale. Braccato dai servizi segreti anglo-americani e dal Mossad, preoccupato della sua sopravvivenza, fisica e politica, e sentendo venir meno anche il consenso in patria, ha cercato di “vendersi” nella maniera migliore, offrendo, in cambio del suo mantenimento al potere, disponibilità politica e accordi commerciali.Così sul piano politico Gheddafi, abbandonata la causa pan-araba e il terrorismo, ha iniziato con la stessa esuberanza a promuovere il processo di aggregazione che ha portato all’Unione africana (Ua), finanziandone passi importanti, con la benedizione segreta dell’Occidente. Durante l’anno scorso i leader africani lo hanno nominato alla presidenza pro tempore dell’Ua, sperando che il suo ruolo potesse essere utile per migliorare i rapporti sia con l’Occidente sia con il mondo arabo e musulmano. Ma Gheddafi, oltre l’indipendenza politica, ha esaurito anche il suo credito: la sua presidenza è stata del tutto inefficace e con suo dispetto a gennaio di quest’anno l’incarico non gli è stato rinnovato. Interessante in proposito è leggere i commenti della stampa nei vari Paesi africani. Indispettiti i commenti dopo la penosa figura all’assemblea generale delle Nazioni Unite di settembre, addirittura spocchiosi gli editoriali pubblicati dopo l’ultima riunione del Consiglio di pace e sicurezza dell’Ua a Kampala all’inizio di agosto, che definiscono il leader libico folklore vecchio e irrilevante.Esaurita la carta politica Gheddafi gioca quella commerciale. Ricco dei proventi del petrolio stringe accordi di collaborazione commerciale e industriale, che mirano a migliorare il capitale di infrastrutture della Libia e a garantire alla “Guida” incassi non solo dal greggio, ma anche dalle commesse delle imprese che fanno affari con la Libia. Sospetta è stata la liberazione di uno dei responsabili della strage di Lockerbie da parte delle autorità scozzesi, cui è seguito a breve un accordo di estrazione tra Governo libico e British Petroleum. Più trasparente, anche se tutta da sviluppare, la collaborazione commerciale con la Francia per l’uso civile dell’energia nucleare.Anche con questi Paesi, però, l’intemperanza di Gheddafi genera fatiche, che hanno conseguenze in termini di consenso in patria. Così Gheddafi ha bisogno di collaborazioni industriali con partner italiani, come quella per l’autostrada sulle coste libiche, costruita da imprese italiane e pagata con soldi pubblici del nostro Paese, o la trasformazione della rete elettrica libica che coinvolgerebbe Terna e Enel o ancora l’investimento nel settore petrolifero immaginato per Eni, senza dimenticare la collaborazione in campo finanziario e bancario, che già vede un ruolo di Unicredit. Detto questo non si può sorvolare sulla questione dei diritti umani e non chiedersi che cosa accade a chi, respinto dall’Italia, rimane, chissà in che condizioni, “trattenuto” in Libia.Gheddafi ha bisogno dell’Italia, che gli offre un palcoscenico unico per mostrarsi, soprattutto alla tv libica, come paladino dell’orgoglio nazionale, arabo e musulmano. La spirale di provocazioni ad effetto in cui Gheddafi si avvita sempre di più, per essere chiari, è efficace solo in Italia. Nessuno all’estero gli offre spazi per una tenda inutile e inutilizzata, né aspiranti veline ad ascoltarlo a pagamento. Perché da noi succede?