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Golfo

Iraq, metti una sera a cena

Un forte appello alla pace nell'incontro tra rappresentanti cristiani e musulmani promosso dall'arcivescovo di Kirkuk

Daniele ROCCHI Redazione

31 Agosto 2009

Un forte appello alla pace nazionale, alla riconciliazione, alla fine della violenza. È stato lanciato il 29 agosto a Kirkuk da oltre 50 rappresentanti cristiani e musulmani, invitati a cena dall’arcivescovo locale, monsignor Louis Sako, in occasione del Ramadan. «Si è trattato di un gesto di vicinanza verso i nostri fratelli musulmani – spiega monsignor Sako -. Siamo tutti fratelli, figli dello stesso Dio. Dobbiamo rispettarci e cooperare per il bene del popolo e del nostro Paese».
L’Iraq, aggiunge l’arcivescovo, «ha bisogno di riconciliazione, di dialogo. I fatti di questi ultimi tempi, con attacchi e bombe che hanno provocato centinaia tra morti e feriti, rendono sempre più urgente il dialogo e la pace. I gruppi coinvolti in attività criminali e terroristiche sembrano avere campo aperto. Il governo e la polizia cercano di fare il possibile, ma non sono in grado di controllare la situazione. Per di più al suo interno l’esecutivo mostra spaccature e divisioni. La violenza gratuita di questi giorni ha scopi politici, è in atto una lotta per il potere. In questo clima la minoranza cristiana vive, anch’essa, giorni difficili: l’odio, la mancanza di servizi, di futuro, spinge molte nostre famiglie ad emigrare. Tutto ciò ci preoccupa non poco, ma come cristiani dobbiamo sperare contro ogni speranza».
«Basta violenza, vogliamo vivere nella pace», titola l’appello, che sin dalle prime righe invita alla riconciliazione. «Siamo uomini di religione, cristiani e musulmani, provenienti da tutti i diversi gruppi religiosi di Kirkuk. In occasione del mese del Ramadan, vorremmo esprimere a voi tutti nostri concittadini i più vivi e sinceri auguri, affinché questo mese sia un tempo privilegiato e intenso di preghiera, di perdono e di riconciliazione, perché possiamo vivere in un clima di pace, di serenità e di gioia». Un forte appello alla pace nazionale, alla riconciliazione, alla fine della violenza. È stato lanciato il 29 agosto a Kirkuk da oltre 50 rappresentanti cristiani e musulmani, invitati a cena dall’arcivescovo locale, monsignor Louis Sako, in occasione del Ramadan. «Si è trattato di un gesto di vicinanza verso i nostri fratelli musulmani – spiega monsignor Sako -. Siamo tutti fratelli, figli dello stesso Dio. Dobbiamo rispettarci e cooperare per il bene del popolo e del nostro Paese».L’Iraq, aggiunge l’arcivescovo, «ha bisogno di riconciliazione, di dialogo. I fatti di questi ultimi tempi, con attacchi e bombe che hanno provocato centinaia tra morti e feriti, rendono sempre più urgente il dialogo e la pace. I gruppi coinvolti in attività criminali e terroristiche sembrano avere campo aperto. Il governo e la polizia cercano di fare il possibile, ma non sono in grado di controllare la situazione. Per di più al suo interno l’esecutivo mostra spaccature e divisioni. La violenza gratuita di questi giorni ha scopi politici, è in atto una lotta per il potere. In questo clima la minoranza cristiana vive, anch’essa, giorni difficili: l’odio, la mancanza di servizi, di futuro, spinge molte nostre famiglie ad emigrare. Tutto ciò ci preoccupa non poco, ma come cristiani dobbiamo sperare contro ogni speranza».«Basta violenza, vogliamo vivere nella pace», titola l’appello, che sin dalle prime righe invita alla riconciliazione. «Siamo uomini di religione, cristiani e musulmani, provenienti da tutti i diversi gruppi religiosi di Kirkuk. In occasione del mese del Ramadan, vorremmo esprimere a voi tutti nostri concittadini i più vivi e sinceri auguri, affinché questo mese sia un tempo privilegiato e intenso di preghiera, di perdono e di riconciliazione, perché possiamo vivere in un clima di pace, di serenità e di gioia». Il bene comune «Senza voler interferire con la politica e senza essere in favore di un gruppo contro l’altro, unicamente sulla base delle nostre convinzioni religiose, caritative e umanitarie – si legge nel testo -, chiediamo a tutte le parti interessate di voler risolvere il problema di Kirkuk secondo il bene comune, la ragionevolezza e la magnanimità. Chiediamo a tutti i responsabili della comunità politica di volersi sedere insieme attorno a un tavolo, di impegnarsi in un dialogo fraterno, sincero e costruttivo, al fine di trovare una soluzione praticabile per la salvaguardia della sicurezza del popolo, per la stabilità della città e per la pace nel Paese».In questa ricerca la religione non può essere motivo di contrasto: «Le differenze tra noi non siano motivo di discordia, ma diventino opportunità e ricchezze per tutti, come si conviene in una buona famiglia che merita la benedizione di Dio: dove il più forte si prende cura del più debole e il più grande aiuta il più piccolo, dove ognuno contribuisce al sostentamento di tutti secondo le proprie abilità e risorse, dove nessuno viene dimenticato».«Il linguaggio delle provocazioni, delle minacce e della violenza – affermano i leader religiosi – potrebbe portarci a un conflitto armato e allo spargimento di sangue, senza dubbio una disgrazia per tutti. La violenza non ha mai portato ad alcuna soluzione duratura dei problemi, anzi sempre è stata nutrimento per la vendetta e occasione di maggiori lutti».«Ancora una volta abbiamo recentemente sperimentato la tragedia delle esplosioni a Baghdad, Kirkuk e Mossul. Vi è il bisogno di un grande sussulto di coraggio e di impegno, per promuovere e consolidare pace e stabilità. Basta con le guerre e la violenza!», dicono i rappresentanti religiosi che, al termine del documento, lanciano un appello «a tutte le parti interessate, perché ognuno si assuma la propria responsabilità per trovare il modo migliore per uscire da questa nostra crisi e per rendere l’Iraq, che amiamo, un ambiente finalmente degno della intangibile dignità delle persone che vi abitano, nessuna esclusa!».