Nel 2008 la popolazione in Italia ha superato i 60 milioni. L’Istat ha annunciato l’evento come fatto storico. Il risultato dovrebbe suggerire una riflessione soprattutto per il modo in cui è stata raggiunta questa quota storica. E già, perché l’Istituto nazionale di ricerca ci spiega anche che nel corso dell’anno passato si è registrato un ulteriore movimento nell’analisi degli andamenti demografici. Infatti il numero dei nuovi cittadini immigrati regolarmente nel nostro Paese sta raggiungendo il numero dei nati durante l’anno: 576 mila nascite su suolo italiano (tra queste il 15%, 88 mila, sono figli di madri non italiane) e 497 mila persone entrate stabilmente.
Pur senza considerare tutti gli irregolari che vivono nel nostro Paese, si può facilmente vedere come l’Italia stia diventando in maniera molto rapida un paese eterogeneo e multicolore. Ufficialmente, dichiara l’Istat, il 6,5% della popolazione che ha la cittadinanza di un altro Paese vive, lavora, studia, si sposa, costruisce una famiglia, fa amicizia, compra o affitta casa qui, come dimostra il continuo aumento della proporzione dei matrimoni in cui almeno uno dei due sposi è non italiano: 34.559 nel 2007 (il 13,8% del totale).
A prescindere da qualsiasi politica dei flussi più o meno restrittiva, più o meno illuminata, più o meno attenta alla dignità degli esseri umani, nel futuro la proporzione degli “stranieri” in Italia sarà sempre più ampia. Basta guardare meglio i dati per accorgersi che nelle fasce d’età più giovani la loro quota è maggiore: sono infatti l’11,1% di quelli che hanno tra i 18 e i 39 anni e l’8,4% dei minorenni.
La struttura dei nostri territori sta cambiando: ci sono paesi, specialmente quelli vicini alle grandi città, che si ripopolano attraendo le persone di diverse etnie. Ci sono scuole, specialmente quelle delle periferie dei centri urbani più grandi, che raccolgono studenti dalle provenienze più disparate. Quando si percorrono alcune strade, si possono notare facilmente tanti negozi gestiti da immigrati. E ancora basta frequentare le nostre case, dove scorgiamo baby-sitters albanesi, assistenti familiari rumene, colf filippine.
Per affrontare il nostro futuro senza paura, senza costruire muri di retorica o imbastire iniziative propagandistiche pre-elettorali e controproducenti, forse è necessario iniziare a pensare a costruire nodi di dialogo sul territorio, punti d’intersezione che riescano a cementificare la convivenza nella diversità, che aiutino a superare i pregiudizi legati all’ignoranza e avviino un progetto di costruzione di una cittadinanza plurale. Senza percorsi di avvicinamento tra le culture, che non vuol dire omologazione, ma riconoscimento dell’uguaglianza nell’alterità, sarà estremamente difficile vivere in un’Italia veramente al plurale. Nel 2008 la popolazione in Italia ha superato i 60 milioni. L’Istat ha annunciato l’evento come fatto storico. Il risultato dovrebbe suggerire una riflessione soprattutto per il modo in cui è stata raggiunta questa quota storica. E già, perché l’Istituto nazionale di ricerca ci spiega anche che nel corso dell’anno passato si è registrato un ulteriore movimento nell’analisi degli andamenti demografici. Infatti il numero dei nuovi cittadini immigrati regolarmente nel nostro Paese sta raggiungendo il numero dei nati durante l’anno: 576 mila nascite su suolo italiano (tra queste il 15%, 88 mila, sono figli di madri non italiane) e 497 mila persone entrate stabilmente.Pur senza considerare tutti gli irregolari che vivono nel nostro Paese, si può facilmente vedere come l’Italia stia diventando in maniera molto rapida un paese eterogeneo e multicolore. Ufficialmente, dichiara l’Istat, il 6,5% della popolazione che ha la cittadinanza di un altro Paese vive, lavora, studia, si sposa, costruisce una famiglia, fa amicizia, compra o affitta casa qui, come dimostra il continuo aumento della proporzione dei matrimoni in cui almeno uno dei due sposi è non italiano: 34.559 nel 2007 (il 13,8% del totale).A prescindere da qualsiasi politica dei flussi più o meno restrittiva, più o meno illuminata, più o meno attenta alla dignità degli esseri umani, nel futuro la proporzione degli “stranieri” in Italia sarà sempre più ampia. Basta guardare meglio i dati per accorgersi che nelle fasce d’età più giovani la loro quota è maggiore: sono infatti l’11,1% di quelli che hanno tra i 18 e i 39 anni e l’8,4% dei minorenni.La struttura dei nostri territori sta cambiando: ci sono paesi, specialmente quelli vicini alle grandi città, che si ripopolano attraendo le persone di diverse etnie. Ci sono scuole, specialmente quelle delle periferie dei centri urbani più grandi, che raccolgono studenti dalle provenienze più disparate. Quando si percorrono alcune strade, si possono notare facilmente tanti negozi gestiti da immigrati. E ancora basta frequentare le nostre case, dove scorgiamo baby-sitters albanesi, assistenti familiari rumene, colf filippine.Per affrontare il nostro futuro senza paura, senza costruire muri di retorica o imbastire iniziative propagandistiche pre-elettorali e controproducenti, forse è necessario iniziare a pensare a costruire nodi di dialogo sul territorio, punti d’intersezione che riescano a cementificare la convivenza nella diversità, che aiutino a superare i pregiudizi legati all’ignoranza e avviino un progetto di costruzione di una cittadinanza plurale. Senza percorsi di avvicinamento tra le culture, che non vuol dire omologazione, ma riconoscimento dell’uguaglianza nell’alterità, sarà estremamente difficile vivere in un’Italia veramente al plurale.
Società
Avvicinare le culture per un futuro al plurale
Il territorio sta cambiando: l'Italia sta diventando rapidamente un Paese eterogeneo e multicolore
Andrea CASAVECCHIA Redazione
15 Maggio 2009