09/08/04
di Marco DOLDI
Molte volte le scelte come il divorzio e l’aborto sono presentate come conquiste di civiltà, esercizi di autentica libertà; e sul podio, accanto a queste, si vorrebbe porre anche l’eutanasia. Non così la pensa la Chiesa; voce profetica che invita a considerare come tali diritti comportino sempre silenziose vittime, nei confronti delle quali c’è da registrare al momento una sorta di congiura del silenzio.
Per la Chiesa divorzio, aborto ed eutanasia restano drammi del nostro tempo. Pur nella loro diversità hanno qualcosa in comune. Benedetto XVI, ricevendo il 5 aprile i partecipanti a un Congresso internazionale, ha ricordato la comune causa remota: «In un contesto culturale segnato da un crescente individualismo, dall’edonismo e, troppo spesso, anche da mancanza di solidarietà e di adeguato sostegno sociale, la libertà umana, di fronte alle difficoltà della vita, è portata nella sua fragilità a decisioni in contrasto con l’indissolubilità del patto coniugale o con il rispetto dovuto alla vita umana appena concepita e ancora custodita nel seno materno».
Divorzio e aborto sono scelte che molto spesso maturano in circostanze difficili e drammatiche, comportano traumi e profonde sofferenze per chi le compie. Colpiscono anche vittime innocenti: il bambino appena concepito e non ancora nato, i figli coinvolti nella rottura dei legami familiari. In tutti lasciano ferite che segnano la vita indelebilmente. Si pensi alle sofferenze che colpiscono i cosiddetti “figli del divorzio”, segnando la loro vita fino a renderne molto più difficile il cammino. È, infatti, inevitabile che quando si spezza il patto coniugale ne soffrano soprattutto i figli, segno vivente della sua indissolubilità.
Ancora, si pensi al dramma dell’aborto procurato, che lascia segni profondi, talvolta indelebili, nella donna che lo compie e nelle persone che la circondano, e produce conseguenze devastanti sulla famiglia e sulla società, anche per la mentalità materialistica di disprezzo della vita, che favorisce. «Quante egoistiche complicità – ha detto il Papa – stanno spesso alla radice di una decisione sofferta che tante donne hanno dovute affrontare da sole e di cui portano nell’animo una ferita non ancora rimarginata».
Ricevendo – sempre il 5 aprile – i membri del Pontificio Consiglio per la famiglia, Benedetto XVI ha notato che «con crescente insistenza si giunge persino a proporre l’eutanasia come soluzione per risolvere certe situazioni difficili». Conquiste di civiltà o, non piuttosto, autentiche piaghe? La Chiesa considera sempre le persone concrete, soprattutto quelle più deboli e innocenti, vittime delle ingiustizie e dei peccati. E considera quegli altri uomini e donne che, avendo compiuto tali atti, si sono macchiati di colpe e ne portano le ferite interiori, cercando la pace e la possibilità di una ripresa.
A queste persone la Chiesa annuncia il Vangelo dell’amore e della vita, che è sempre Vangelo della misericordia: donato all’uomo concreto e peccatore per risollevarlo da qualsiasi caduta, per ristabilirlo da qualsiasi ferita. La misericordia che viene da Dio sana l’uomo e lo rende capace di riprendersi. Con l’aiuto della grazia, la libertà umana è capace di vivere quel dono definitivo, che rende possibile il matrimonio di un uomo e una donna come patto indissolubile; è capace di straordinari gesti di sacrificio e di solidarietà per accogliere la vita di un nuovo essere umano. È capace di stare accanto all’anziano e al malato con amore e gratitudine. L’uomo raggiunto dalla grazia e dalla misericordia è capace di reagire con forza a tutto ciò che disumanizza la società.
L’opinione pubblica ferma la sua attenzione in modo unilaterale sui “no” della Chiesa, quasi fossero negazioni di conquiste contemporanee. Dimentica che le indicazioni morali della Chiesa sono, in realtà, grandi “sì” alla dignità della persona umana, alla sua vita e alla sua capacità di amare. Sono l’espressione della fiducia costante che, nonostante le loro debolezze – ha detto ancora il Papa -, gli esseri umani sono in grado di corrispondere alla altissima vocazione per cui sono stati creati: quella di amare.