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Un’occupazione troppo precaria

In attesa dell'impatto della crisi, mercato più instabile. L'analisi della situazione da parte di Giovanni Marzorati, responsabile dell'Ufficio lavoro delle Acli milanesi

22 Dicembre 2008

23/12/2009

di Pino NARDI

L’instabilità dei lavori “atipici” va ormai stabilizzandosi, prolungando la precarietà. In attesa di capire quale sarà l’impatto della crisi mondiale anche a Milano e provincia, Giovanni Marzorati, responsabile dell’Ufficio lavoro delle Acli milanesi, riflette sulle sofferenze dell’occupazione. E annuncia la crescente attenzione del movimento aclista per i servizi dedicati alle badanti e alle famiglie “datori di lavoro”.

Quale bilancio 2008 per il lavoro?
In primo piano resta sempre il precariato. Anche quest’anno l’occupazione non è andata male negli avviamenti. Sappiamo però che in larghissima maggioranza sono lavori a termine o atipici, legati a una insicurezza. Questa è l’andamento generale dell’occupazione, che rispecchia quello dell’anno scorso. Il fenomeno preoccupante è che il lavoro atipico non si aggiunge a quello stabile, lo sta sostituendo. È negativo perché introduce una modalità nuova: chi parla di mercato duale ha sempre più ragione. Il problema che andrebbe risolto è proprio evitare questo radicamento del mercato duale, di chi – sempre meno – entra in modo stabile o è destinato alla stabilità e chi entra in modo instabile e che ha davanti un periodo lungo di instabilità.

Quanto sta pesando la crisi?
Nell’area milanese è ancora prematuro definire che incidenza abbia la crisi economica. Certo, i datori di lavoro non si impegnano con assunzioni e tanto meno con quelle stabili. La nostra sensazione è che gli effetti negativi si vedranno soprattutto nei prossimi mesi. Per ora la domanda di lavoro nel Milanese e in Lombardia è ancora piuttosto alta rispetto al resto d’Italia. È alta anche l’offerta che soddisfa soprattutto la fascia giovanile, permanendo invece il problema degli over 40 e 50 anni, che quando perdono il posto hanno più difficoltà a rientrare. Su questo è molto importante il monitoraggio che sta conducendo la Pastorale del lavoro della diocesi. Tuttavia la crisi maggiore la potrebbe sentire la piccola o piccolissima impresa: per esempio, in Brianza, cosa potrebbe succedere? La tentazione di ricorrere al lavoro irregolare è sempre alta: chi è assunto e lavora ben oltre le 40 ore oppure in nero. È una realtà difficile da monitorare, dove la presenza del sindacato è quasi inesistente.

L’occupazione femminile migliora?
Ci sono difficoltà per chi ha da tanto tempo rapporti atipici o a termine, sempre più a rischio nella replica di questi contratti. E poi per le donne sposate o con figli. Queste sono sicuramente zone di sofferenza.

Quali sono i vostri progetti?
Intendiamo porre attenzione all’andamento del mercato del lavoro con una serie di servizi che già ci sono, ma che vanno potenziati per le fasce più deboli, per chi è meno professionalizzato, in particolare per gli immigrati. Il potenziamento è comunque legato alla disponibilità del volontariato che gravita in ambito aclista.

Cosa propongono i vostri sportelli?
Puntiamo a un progetto che coinvolge tutte le Acli: far percepire a chi si rivolge allo sportello del Patronato che può essere indirizzato in base ai bisogni: se sei un immigrato ti segnalano tutto ciò che serve per la regolarizzazione; un altro ufficio dedicato al sostegno alla famiglia; chi può aiutare a fare un bilancio di competenza o a riscrivere un curriculum; oppure chi indirizza a un’agenzia del lavoro per incrociare la domanda con una richiesta di lavoro.

E in particolare per gli immigrati?
Le Acli hanno una buona dimestichezza col lavoro di cura, con una doppia attività: una rivolta al lavoratore con Acli-colf e una ai “datori di lavoro”, alle famiglie che utilizzano badanti. Si cura la corretta applicazione della normativa contrattuale, si fanno le paghe e i contributi di modo che, sia le famiglie sia il lavoratore, siano regolari. A Milano abbiamo circa 2 mila pratiche da gestire e questa diventa anche una base dati interessante. Stiamo incominciando anche a raccogliere informazioni di altro tipo: ad esempio le necessità di miglioramento nella preparazione professionale delle donne immigrate dal punto di vista sanitario, perché in genere moltissime sono addette a persone anziane ammalate. Proponiamo una formazione personale specifica, anche se emerge una richiesta di formazione linguistica. L’insegnamento di italiano per stranieri avviene in modo piuttosto diffuso, ma non troppo strutturato: tanti circoli di Milano e della provincia si danno da fare su questo aspetto mettendo assieme volontari anche professionalizzati. Le Acli intendono darsi un metodo più omogeneo per affrontare questo fenomeno, molto importante per l’integrazione sociale.