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La vera gioia abitata dalla debolezza di Dio

Nell'icona della Natività ci vengono rivelati i tratti del volto del Signore che sceglie la carne per aprire all'uomo la via della vita

22 Dicembre 2008

23/12/2008

di Adalberto PIOVANO
Priore Comunità SS. Trinità, Dumenza (Va)

«La Parola si è fatta carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Così leggiamo nel Prologo al Vangelo di Giovanni. Con questo versetto è come se si spalancasse al nostro sguardo il mistero stesso dell’umiltà di Dio, di un Dio che accetta il silenzio della carne dell’uomo per nascondere in esso la sua Parola creatrice, la sua Parola di amore.

In Gesù, Dio accetta di guardare ogni uomo con gli occhi dell’umanità e di imparare dall’uomo il linguaggio della carne per poter comunicare ad esso la parola dello Spirito. Per trent’anni il Figlio di Dio si è immerso nel quotidiano dell’uomo, come un seme nascosto sotto la terra, e in questo apparente silenzio della sua divinità, ha imparato che cosa significhi essere uomo. Ogni parola, ogni gesto, ogni sentimento, ogni esperienza che segna la carne dell’uomo è stata accolta da Gesù. Nulla di ciò che riguarda l’umanità è rimasto estraneo al Figlio di Dio.

«Non hai avuto paura del seno di una Vergine», canta l’inno Te Deum. Il Figlio di Dio non ha avuto paura di sporcarsi le mani con la carne dell’uomo. Non ha avuto paura neppure del peccato e della morte. Anzi, pur essendo senza peccato, nell’obbedienza al Padre si è lasciato immergere nelle tenebre del peccato. Infatti, nell’icona della Natività di Cristo, al centro vediamo il Bambino avvolto in fasce immerso nelle dense tenebre che scaturiscono dall’antro della terra, dalla grotta.

Questa immagine diventa il simbolo della Vita che accetta di abitare là dove c’è solo ombra di morte, là dove ogni dignità umana viene negata. E questa paradossale Presenza nel dramma e nella disperazione dell’umanità opera un capovolgimento: la vita dell’uomo dal nulla della morte, dal buio del non senso viene aperta al dono della vita, perché è la Vita stessa che ha il coraggio non solo di accostarsi a ogni abisso dell’umanità, ma addirittura di dimorare in esso.

Nell’icona della Natività ci vengono rivelati i tratti del volto di un Dio che sceglie la via della debolezza, la carne, per aprire all’uomo la via della vita. Gesù ha percorso ogni abisso dell’umanità, tracciando un cammino di comunione con le realtà umane in tutte le loro espressioni drammatiche per aprirle al dono della vita. Attraverso Cristo, attraverso il suo mistero di incarnazione, passione e morte, espressione del dono di sé, la vita ormai abita il dramma del limite, del peccato della morte. E come un chicco di grano nascosto sotto terra e che solo attraverso la morte porta frutto.

Nulla dell’uomo è estraneo al Figlio di Dio; ma ormai nulla di Dio è estraneo all’uomo. Il credente è chiamato a collocarsi con Cristo negli inferi dell’uomo (ad avvicinarsi a quell’abisso che emerge dalla grotta ed entrarvi) per portare in esso la speranza della vita (il bambino avvolto in fasce).

«Dio non si vergogna della piccolezza dell’uomo – scrive Dietrich Bonhoeffer -, vi si coinvolge totalmente: sceglie un essere umano, lo fa suo strumento, e compie il suo mistero là dove meno lo si attende. Dio è vicino a ciò che è piccolo, ama ciò che è perduto, ciò che è insignificante, reietto, ciò che è debole, spezzato. Quando gli uomini dicono “perduto” egli dice “trovato”; quando dicono “condannato”, egli dice “salvato”; quando gli uomini dicono “no”, egli dice “sì”… Quando giungiamo, nella nostra vita, al punto di vergognarci dinanzi a noi stessi e dinanzi a Dio, quando arriviamo a pensare che è Dio stesso a vergognarsi di noi, quando sentiamo Dio lontano come mai dalla nostra vita, proprio allora Dio ci è vicino come non mai; allora vuole irrompere nella nostra vita, allora ci fa percepire in modo tangibile il suo farsi vicino, così che possiamo comprendere il miracolo del suo amore, della sua prossimità, della sua grazia».

Questa visione del volto di Dio che l’icona del Natale ci trasmette sembra togliere un po’ della gioia a cui siamo abituati in questa festa. Non è così: il volto di Dio che a noi si rivela nei colori e nei simboli dell’icona è un volto che ci dà consolazione, ci infonde speranza, ci illumina di gioia. Questa è la gioia del Natale, la gioia abitata dalla debolezza di Dio, l’unica vera forza nella nostra vita.