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Bullismo, il mito del vincente

Un problema che esiste da sempre, ma che oggi si manifesta in età più precoce. La psicologa Silvia Vegetti Finzi: «Il bullo è chi crede che affermarsi da solo contro tutti sia un valore. Spesso gliel'ha insegnato la famiglia o la società...»

5 Giugno 2008

29/02/2008

di Giuseppe GRAMPA

Sui frequenti episodi di violenza che vedono protagonisti giovani e giovanissimi abbiamo raccolto l’opinione di Silvia Vegetti Finzi, docente di psicologia dinamica all’Università di Pavia.

«Il bullismo c’è sempre stato, anche in Cuore di De Amicis c’era lo scolaro prepotente – dice -. Sicuramente il fenomeno è esasperato nel nostro tempo, nel quale io “sono” se mi metto in scena e recito la parte del vincente. Nella società dello spettacolo questi ragazzi si esibiscono come bulli anche perché hanno modelli televisivi violenti. Anni fa il bullismo era una caratteristica delle scuole superiori, poi è stato anticipato alla scuola media e adesso abbiamo casi sempre più frequenti di bullismo alla scuola elementare e addirittura alla materna. Non bisogna però confondere l’irruenza anche aggressiva di certi bambini con il bullismo, che non è un gesto isolato, ma una pressione continua, ripetuta nel tempo. Èevidente nei maschi, perché il bullismo maschile lascia lividi sul corpo; vorrei tuttavia ricordare che esiste anche un bullismo femminile, più invisibile, ma più doloroso, perché lascia lividi nell’anima».

Chi è il bullo?
È chi crede che affermarsi individualmente, lui contro tutti, sia un valore. Spesso glielo ha insegnato la famiglia o la società, attraverso un individualismo e una competizione esasperata. Quante volte i genitori ammirano chi si fa valere anche con modi disonesti? Sono messaggi che arrivano ai ragazzi e che i ragazzi mettono in pratica, persuasi che questo sia il modo di affrontare il mondo. E il bullo non appartiene necessariamente a una classe sociale meno abbiente.

E chi è la vittima del bullismo?
Di solito è un bambino debole fisicamente, un po’ immaturo rispetto ai compagni, psicologicamente introverso, timido, molto sensibile, spesso iperprotetto perché ha avuto poco padre e tanta madre, e che non si è mai trovato ad affrontare situazioni di aggressività. Così non comprende bene che cosa gli accade, non ha parole per descrivere la sua situazione e quindi accetta in silenzio.

Lei prima accennava a una precocità del bullismo…
Da genitori spesso stizzosi, stanchi, depressi, un bambino non riceve quegli elementi indispensabili per una buona socializzazione e finisce per portare a scuola questo atteggiamento ricevuto in famiglia. Allora arriva insicuro al contatto con i coetanei e cerca di darsi forza attraverso episodi che confermino quel valore non avuto dalla famiglia. Quello della prevaricazione fisica è un modo infantile, immaturo, di rafforzare il proprio io. Gesti quasi istintivi che vogliono dire: «Io sono il più forte del gruppo».

Che cosa può fare la famiglia?
Anzitutto coerenza: dire quello che fa e fare quello che dice, perché molte volte si fanno discorsi validi e poi ci si comporta in modo opposto. Ogni volta che i ragazzi vedono educatori dire una cosa e poi farne un’altra si produce un danno enorme. E poi occorre una nuova alleanza con la scuola: la famiglia non deve delegare alla scuola il suo compito educativo, non deve sottrarsi al compito di dare ai ragazzi, fin da piccoli, delle regole. In termini non solo di limitazione negativa, ma anche di “contenitore” che dia sicurezza, perché la possibilità illimitata confonde i ragazzi. Il permissivismo che nasce da incuria, disinteresse e abbandono è molto diverso dalla concessione di margini di libertà. È bene che non ci sia più il genitore autoritario che impone la sua volontà, ma abbiamo comunque bisogno di genitori autorevoli.

E che cosa può fare la scuola?
La scuola non è la responsabile di questo fenomeno, perché eredita in gran parte le carenze della famiglia. Però forse si può fare qualcosa di più sul piano della collaborazione e del gioco di squadra. Nella scuola manca una sufficiente attenzione ai rapporti “orizzontali”, da banco a banco, mentre ce n’è molta per quelli “verticali”, da cattedra a banco. Gli insegnanti sono poco abituati a monitorare i rapporti tra gli alunni, che invece andrebbero presi in grande considerazione, perché su questo fronte i bambini sono molto sensibili e vulnerabili. La scuola dovrebbe fare un discorso morale sul vivere insieme e sulle sue regole: un problema sono i bulli e le vittime, ma un grande problema è anche tutto il “coro”, quanti assistono a questi episodi e non reagiscono, quando addirittura non li ammirano. Quasi trovassero in queste violenze una fonte di rassicurazione.