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La sentenza di Torino

Amianto: come ridurre il rischio?

Realizzare discariche idonee ed evitare lo smaltimento “abusivo”: ne parla Matteo Mascia, coordinatore del Progetto etica e politica ambientale alla Fondazione Lanza di Padova

a cura di Francesco ROSSI

20 Febbraio 2012

Tremila morti ogni anno; 30-40 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto ancora in circolazione; un milione di metri quadrati di coperture in amianto solo a Casale Monferrato. La sentenza del tribunale di Torino, che lunedì scorso ha condannato i due proprietari della Eternit, ha riportato alla luce un problema con cui l’Italia sta facendo i conti da vent’anni, da quando nel 1992 una legge ha messo al bando la produzione del cemento amianto. Con Matteo Mascia, coordinatore del Progetto etica e politica ambientale alla Fondazione Lanza di Padova, il punto sull’impatto ambientale e sui rischi dello smaltimento “abusivo”.

Quale conseguenza avranno sull’ambiente questi milioni di tonnellate di amianto?
In prospettiva l’impatto è molto pesante. Non solo per l’ambiente: è una questione che può avere – come vediamo – gravi conseguenze sulla salute, e dunque sulla qualità della vita delle persone. Bisogna presupporre un intervento significativo di recupero e smaltimento. La legge 257 del 1992 prevedeva un censimento dettagliato dei siti contaminati, per poi procedere con la bonifica, ma a oggi poche regioni hanno compiuto questa mappatura. Come sempre in Italia – è triste dirlo -, il rischio è che si intervenga sull’emergenza più che per prevenire.

Vent’anni dopo, è ancora il caso di compiere una mappatura, o è meglio procedere subito con la bonifica?
Vista l’enorme mole di amianto ancora presente, la mappatura consente tra l’altro di scaglionare gli interventi a seconda dell’urgenza, individuando dove il materiale è già deteriorato e occorre intervenire in via prioritaria.

Il rischio, infatti, è legato non tanto alla presenza della sostanza, quanto alla “polvere” da essa prodotta quando si deteriora o si spezza…
Sono tremila i prodotti realizzati con l’amianto: dagli isolanti termici e acustici alle tubature, dai pavimenti in linoleum alle coperture degli edifici. Finché il materiale è stabile non c’è problema. Ma, considerato che la legge che ne vietava la produzione è del 1992, parliamo di prodotti che hanno più di vent’anni e in buona parte sono all’aperto. Il tempo e l’esposizione atmosferica possono portare a un deterioramento, e qui sorgono i rischi. Come pure quando vengono rimossi questi materiali ci vuole attenzione, e proprio per evitare contaminazioni l’operazione deve essere condotta da persone specializzate e seguendo determinate modalità.

A tale riguardo, i costi dello smaltimento sono significativi: 4 mila euro per 100 metri quadri, 800 euro per un cassone dell’acqua da un metro cubo… Non c’è il rischio che, visti questi costi, persone con meno scrupoli – e magari senza conoscere bene i rischi – optino per uno smaltimento “abusivo”?
Gli alti costi, come dicevamo, sono legati alla specificità dell’intervento. Laddove ci fosse stato un monitoraggio come previsto dalla legge, sarebbe stato più facile controllare, inducendo progressivamente i proprietari a provvedere evitando lo smaltimento abusivo, il cui impatto sull’ambiente può essere pesante, soprattutto se va a contaminare falde acquifere.

L’alto costo è dovuto in parte anche alla necessità di portare all’estero i materiali per lo smaltimento. Non è possibile costruire idonee discariche in Italia?
In un’ottica di responsabilità penso che il Paese si debba far carico dell’individuare luoghi dove mettere in sicurezza i prodotti nocivi. Non è solo una questione di costi, ma anche di non scaricare sugli altri responsabilità nostre. Credo vadano recuperati degli spazi, senza concentrare tutto in pochi siti, ma individuando luoghi nei singoli contesti territoriali, per esempio su base regionale, dove smaltire i prodotti presenti in quella regione.

In diverse parti del mondo l’amianto viene ancora lavorato: pensiamo al Brasile, a zone dell’Africa, alla Cina. Mentre ci preoccupiamo del suo smaltimento, non c’è il rischio d’importarlo?
Non si può mai escludere a priori che arrivino prodotti contenti amianto, o altre sostanze vietate. La responsabilità è degli importatori. Ma non è lì che vedo i rischi maggiori; semmai c’è da preoccuparsi per quelle popolazioni che ancora sono a contatto con la lavorazione dell’amianto.

Alla luce della sentenza, non si può fare pressione sul piano internazionale?
L’auspicio è che l’Italia si faccia carico di una moratoria internazionale contro l’amianto, perché anche i lavoratori cinesi, o indiani, o brasiliani possano avere tutele.

Dopo la sentenza Eternit, la notizia è stata per un giorno sulla prima pagina dei giornali, poi è scomparsa. Qual è l’effetto mediatico della vicenda?
Non ho visto particolari approfondimenti sull’amianto, al di là della vicenda processuale. Ciò che mi preoccupa è l’ignoranza delle persone, quando invece servirebbe una campagna informativa importante per far conoscere i rischi di questa sostanza, anche quelli legati a un inidoneo smaltimento. Sono certo che, così, alcuni ci penserebbero bene prima di ‘eliminarlo’ senza le dovute precauzioni.