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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Economia e lavoro

Al Sud cresce la disoccupazione giovanile

Lo rivela un’indagine Istat: a luglio toccata quota 39,5%. Oltre alla crisi, pesa la mancata sinergia tra scuola e mondo delle imprese. Due le leve per ripartire: studiare le lingue e valorizzare il patrimonio culturale

di Roberto REA Agenzia SIR

16 Settembre 2013

In base ai dati dell’Istat, relativi al mese di luglio, la disoccupazione giovanile al Sud ha raggiunto il 39,5% (+0,4 punti sul mese, +4,3 punti su luglio 2012), con una punta del 51% che riguarda le donne.

Negli altri Sud d’Europa, il problema esiste – tanto che alcuni mesi fa, Angela Merkel disse che «rischiamo di perdere un’intera generazione» – ma la specificità italiana è fuori discussione. Non solo per quanto riguarda i numeri: siamo il Paese europeo con la più alta percentuale di giovani siglati nelle statistiche come Neet (Not in Employment, Education or Training, cioè giovani non impegnati né nella scuola, né nel lavoro). La percentuale complessiva dei giovani italiani sotto i 25 anni senza reddito e senza qualifica professionale, è pari al 21%. Su questa percentuale, incide in maniera determinante il Sud.

Le cause sono ormai strutturali e indipendenti dalla crisi economica in atto. Nei territori europei dove la disoccupazione giovanile è minore, è provato che questo dato non è frutto del caso, ma di politiche che mirano a investire risorse (o a rendere produttive le poche risorse esistenti) con l’obiettivo di dare una qualifica ai giovani, attraverso il legame tra scuola e lavoro e favorendo la formazione. Si chiama valorizzazione della risorsa primaria, quella del capitale umano.

Nonostante l’esperienza positiva degli anni Cinquanta e Sessanta, quando la sinergia tra scuola e mondo delle imprese concorse in maniera determinante a favorire il boom economico, negli ultimi decenni si è ritenuto, se non di recidere, quanto meno di abbandonare questo legame. La conseguenza è stata quella di non avere più gli strumenti concreti per interpretare le esigenze del territorio e, quindi, d’indirizzare in maniera proficua e concreta gli impegni scolastici dei giovani. Il fenomeno della dispersione scolastica, del resto, molto diffuso al Sud, ha anche una componente legata alla mancanza di prospettive. Se aggiungiamo la mancanza di politiche a sostegno delle piccole e medie imprese, per agevolare l’innovazione e l’apprendistato giovanile, il “cerchio” appare chiuso e delineato.

Per impedire l’irreversibilità della situazione che è stata prodotta, ci sono comunque le “leve” sulle quali intervenire, insieme a “visioni” che guardino, da una parte, a quel che accadrà nei prossimi anni e, dall’altra, a quei “beni” di cui il Sud dispone in grande quantità e che sono in larga parte inutilizzati. Sul primo punto, basta pensare al flusso d’immigrati e di turisti provenienti dai Paesi emergenti (russi e cinesi, in particolare), che nei prossimi trent’anni si riverseranno in Europa e in Italia.

Rafforzare lo studio delle lingue (oltre all’inglese, il russo, il cinese, il giapponese, in particolare), potrebbe costituire una risorsa formidabile per chi dovrà trovare lavoro. Poi, ci sono i “beni” di cui il Sud dispone. Il turismo e il patrimonio paesaggistico e culturale. Settori che, se seguiti e valorizzati, potrebbero dare lavoro a intere generazioni di giovani e ad una larga parte di coloro che attualmente, anche se non più giovani, sono disoccupati.

Non è ipotizzabile affrontare il dato della disoccupazione meridionale – che sfiora il 20 per cento, contro il 12 per cento a livello nazionale, con Regioni come la Puglia che perdono forza-lavoro al ritmo di 8.500 persone al mese – e quello che s’incrementa in maniera esponenziale di imprese che chiudono o che hanno in corso una procedura concorsuale, con misure di carattere ordinario. Nell’attuale assetto istituzionale, la responsabilità ricade sulle Istituzioni locali, in particolare sulle Regioni: i loro esponenti, dovrebbero cessare il “lamento” continuo contro l’assenza dello Stato e impegnarsi su progetti innovativi e credibili.