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Medio Oriente

A rischio di frammento

Le tensioni e in conflitti sotto gli occhi spesso indifferenti delle comunità internazionale. Intervista a mons. Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale per Israele

di Daniele ROCCHI Sir (Gerusalemme)

2 Gennaio 2013
Gerusalemme

Sulla situazione in Medio Oriente  esprime forti preoccupazioni mons. Giacinto Boulos Marcuzzo vicario patriarcale per Israele del Patriarcato latino di Gerusalemme. Guardando alla Terra Santa coinvolta in un intreccio di tensioni e violenza a maggior motivo  sono da sostenere e incentivare i pellegrinaggi in Terra Santa.

“C’è stata una crescita di pellegrini – dice mons. Marcuzzo – ma non siamo ai livelli di due o tre anni fa. La crisi economica e finanziaria, che ha colpito a livello globale e l’Europa in particolare, sta pesando negativamente sul numero dei pellegrinaggi. In questi ultimi tempi, tuttavia, stanno riprendendo dopo una fase di calo dovuto al conflitto a Gaza e adesso in queste feste natalizie stiamo assistendo ad un flusso notevole di pellegrini, e tra loro moltissimi sono italiani”.

“Ciò che ci ha fatto molto piacere – dichiara ai cronisti giunti a Nazaret al seguito del pellegrinaggio militare guidato dall’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi – è stato vedere come i pellegrini abbiano capito che non bisogna avere subito paura quando si sentono cattive notizie arrivare dal Medio Oriente. Sanno operare distinzione tra le zone della regione e i luoghi santi. Da parte nostra continuiamo a dire ai pellegrini di venire in Terra Santa, di non avere paura. Se ci fosse qualche motivo di preoccupazione saremmo i primi a dirlo per senso di responsabilità”.

Resta un fatto, Eccellenza, che il processo di pace ristagna e non favorisce la normalizzazione della situazione che resta grave e molto preoccupante…
Come Chiesa e comunità cristiana siamo assolutamente a favore del processo di pace, quello basato sul dialogo e sugli accordi. Tutto questo passa attraverso un profondo lavoro di educazione e di formazione delle coscienze. Non siamo per la pace imposta dall’alto magari in forza di ragionamenti economici. La tregua che si vive periodicamente non è vera pace e non offre garanzie per il futuro. Bisogna, dunque, arrivare a riprendere il processo di pace che non può venire se le due parti, israeliani e palestinesi vengono lasciati soli. Devono essere aiutati e potrebbero essere le Nazioni Unite, gli Usa, un mediatore che possa esercitare influenza sulle due parti coinvolte che sono talmente ineguali che non possono mettersi d’accordo. Da decenni non facciamo altro che passare da una speranza all’altra, da una delusione all’altra e ciò porta alla disperazione.

L’emigrazione cristiana, collegata alla situazione sul terreno, è un fenomeno in crescita oppure l’intenso lavoro delle Chiese per fermare l’emorragia sta dando qualche risultato? 
L’esodo di cristiani da Israele si è ridotto, non possiamo dire lo stesso della Palestina e della Giordania. Finché non ci saranno pace e stabilità questo fenomeno continuerà a colpire tutta la popolazione ed in particolare modo quella più esposta, la minoranza cristiana. Come Chiesa lavoriamo moltissimo per favorire la permanenza dei cristiani locali. Non vogliamo che la Terra Santa si svuoti dei cristiani divenendo un museo a cielo aperto. Essa deve restare la terra di Gesù.

Da qualche tempo si registrano con una certa frequenza casi di vandalismo e di oltraggio a luoghi di culto cristiani. Sono fatti legati a delinquenza comune o hanno uno sfondo religioso?
Ritengo siano collegati alla radicalizzazione in atto nella società israeliana. Lo dimostrano alcune leggi ed orientamenti, a partire dal muro e da proposte come quelle riguardanti gli immigrati. Ricordo il disagio umano vissuto lo scorso anno quando furono rimpatriati migliaia di bambini figli di immigrati. Sono stati fatti partire anche quasi tutti i rifugiati sudanesi, è stato imposto il servizio militare agli arabi, è stato chiesto a tutti i dipendenti pubblici un atto di fedeltà ad Israele come stato ebraico. Si tratta di scelte che vanno verso la radicalizzazione e non verso la convivenza, e tutto ciò – a detta anche di stessi esponenti ebrei – non aiuta Israele. Occorre apertura, accoglienza ed ospitalità per tutti gli abitanti di Israele e non la distinzione che potrebbe degenerare in discriminazione.

Come sta vivendo Israele quanto accade nei paesi arabi vicini, pensiamo in particolare alla primavera araba e alla guerra in Siria?
Da tempo non si parla più di primavera araba che tuttavia ha qualcosa da dire a tutti i paesi della regione, Libano in prima linea. Seguiamo con molta attenzione ciò che ci accade intorno e siamo molto preoccupati. Israele è in Medio Oriente e ogni cosa che vi accade lo riguarda. In Egitto, con la nuova Costituzione, stiamo assistendo ad un nuovo confessionalismo non positivo per il futuro né per i musulmani né per i cristiani. E poi cosa sarà della Giordania, dove pure siamo felici della convivenza in atto tra cristiani e musulmani? Quali ripercussioni ci potrebbero essere in Israele per quanto sta accadendo in Siria? Israele segue con molta attenzione le vicende in Siria ed Iran per il loro potenziale anche militare. Non vorremmo che quanto accade in quei Paesi suscitasse in Israele reazioni contrarie alla pace e al bene del Medio Oriente.

Cosa dovrebbe fare la comunità internazionale per evitare un ulteriore avvitamento della crisi in Medio Oriente?
Mi chiedo: la comunità internazionale sta seguendo con lungimiranza quanto accade in Siria? Vorrei che ci fosse una riflessione più profonda sui fatti siriani soprattutto su quello che potrebbe accadere dopo quando le cose cambieranno. Saranno migliori o peggiori? La comunità internazionale, Nazioni Unite, Usa e Ue in testa dovrebbero pensare bene al dopo della questione siriana. Tutto questo porterà ad una ulteriore divisione del Medio Oriente e questo non aiuta la pace e il bene di tutti. Ci sono interessi volti a spezzettare ulteriormente questa area del mondo. Non è una questione religiosa ma politica fatta anche di interessi economici che usano la religione per arrivare ai loro scopi di frammentazione. Questo non lo possiamo condividere in nessuna maniera.