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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Luoghi

San Lucio, «eremo» tra i monti della Val Cavargna

Un antico oratorio, solido come una fortezza, sul passo al confine tra Italia e Svizzera, a oltre 1500 metri di quota, nel decanato di Porlezza. Che ricorda un allevatore e casaro, ucciso in odio alla sua generosità...

Testo e foto di Luca Frigerio

23 Agosto 2020

Il Passo di San Lucio è un luogo idilliaco, di quiete e di contemplazione. Quassù, a oltre 1500 metri di quota, là dove scorre il confine tra Italia e Svizzera, nell’estrema propaggine della Val Cavargna, sopra Porlezza, lo sguardo si perde fra le montagne ovunque si volti, tra pascoli verdi che d’inverno s’ammantano di neve. E al culmine sorge un sacro edificio, un solitario oratorio, quasi mimetizzato tra le balze del terreno, che accoglie il viandante con le sue possenti mura e il suo tozzo campanile, offrendo ristoro per l’anima e rifugio per le membra.

Il titolare della chiesetta, Lucio, è un santo pastore: non un monaco, né un eremita, ma un laico lavoratore. E martire. La sua vicenda è avvolta nelle nebbie della tradizione e, come spesso accade, mancando notizie certe fiorisce la leggenda: che è sempre riflesso, però, di un preciso contesto sociale e ambientale.

Una storia che si sarebbe svolta nel corso del XIII secolo, proprio in questa vallata, con protagonista un allevatore di armenti e produttore di formaggio, amante della natura quanto del prossimo: il frutto del suo lavoro, infatti, Lucio – ma in alcune versioni il nome varia anche in Ugo o Uguccione… – lo condivideva volentieri con chi era nel bisogno, vicini di casa o viandanti occasionali, amici e sconosciuti. Ma purtroppo la bontà d’animo spesso suscita sospetto, e il successo dell’uno talvolta genera invidia nell’altro: al punto che un altro mandriano, secondo alcuni il suo ex datore di lavoro (o colui che si riteneva il boss della zona), organizzò la sua eliminazione.

Forse l’assassinio di Lucio avvenne proprio nel luogo dove oggi sorge l’oratorio alpestre, al passo che ne porta il nome. Di certo la gente del luogo cominciò fin da subito a venerare come santo quel casaro la cui generosità l’aveva condotto al martirio. E i cavargnini, emigrati per secoli al di qua e al di là delle Alpi, diffusero nei borghi montani come nelle città di pianura la memoria del loro conterraneo eroe della carità, che presto divenne patrono di chiunque avesse a che fare con il latte e con il formaggio.

Anche il rustico tempio alpino presenta diverse immagini di san Lucio, raffigurato in braghe, berretto e mantello e con l’immancabile forma di cacio sottobraccio, dalla quale manca uno spicchio: proprio quella fetta che il pastore ha offerto, o sta porgendo, a qualche affamato. Un “ritratto” che è poi l’icona stessa del Vangelo della misericordia, ma anche l’attuazione delle parole di Gesù – «Date loro voi stessi da mangiare» – pronunciate come premessa al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Si tratta di dipinti realizzati per lo più nel XV secolo, con aggiunte e integrazioni successive, che ricoprono quasi per intero le pareti e le volte dell’oratorio: pitture semplici, popolaresche persino, anche se non prive di una certa eleganza, che puntano molto sull’espressività dei gesti e sulla vivacità dei colori. Come il Padreterno che, sulla volta, benedice i fedeli giunti fin quassù con uno sguardo che, nella penombra della chiesa, brilla di benevola accoglienza…

Ma l’edificio è certamente più antico, almeno il nucleo originario, eretto forse in un luogo consacrato da sempre alla venerazione della divinità, considerando che qui cielo e terra sembrano davvero toccarsi. La chiesa ha quasi l’aspetto di una fortezza, per resistere all’assalto delle tormente invernali, ma appare anche come una grotta, quelle stesse che i pastori di montagna usavano spesso, come ricovero di fortuna per il gregge o anche come stalla naturale per la notte.

Fra queste mura, avamposto ambrosiano in terra comasca, hanno sostato e hanno pregato nei secoli diversi vescovi della diocesi di Milano. A cominciare da san Carlo Borromeo che si arrampicò fin quassù nel 1582, due anni prima della sua morte, il fisico forse già indebolito dai digiuni e dalle fatiche del suo estenuante episcopato, ma lo spirito forte e vivo più che mai. Anche lui pastore, in qualche modo, come Lucio. Anche lui bruciato dall’amore per Dio e per i fratelli. Anche lui, a contemplare dalle grate dell’oratorio montano le vette innevate che sembrano un trampolino sull’infinito.

Partendo dal paese di San Bartolomeo Val Cavargna (Co) si può salire al Passo di San Lucio per un agevole sentiero: al Passo si trovano due rifugi, uno in territorio italiano, l’altro in territorio svizzero, dove si può prendere la chiave per visitare l’antico oratorio. Tradizionalmente quassù, il 12 luglio e il 16 agosto, si tengono due partecipate feste popolari.