«Aiutare la coscienza degli uomini di oggi a recuperare il senso globale e trascendentale dell’esistenza».
È quello che il beato Antonio Rosmini chiamava “carità intellettuale” ed è anche ciò che si è prefisso di fare, da cinquant’anni a questa parte, il Centro internazionale di studi rosminiani, diretto da padre Umberto Muratore. “I semi del Verbo nel pluralismo religioso, teologico e filosofico. Nel 50° anniversario del Centro internazionale di studi rosminiani”: questo il tema generale del XVII corso dei Simposi rosminiani, che si è svolto a Stresa, dal 23 al 26 agosto. Con padre Muratore ripercorriamo il passato del Centro, ma soprattutto guardiamo alla sua missione per il presente e il futuro.
Padre Muratore, quest’anno il Centro internazionale di studi rosminiani di Stresa festeggia il 50° dell’inizio dell’attività di “carità intellettuale”. Da allora tanti studiosi, ecclesiastici e laici delle più svariate discipline, sono passati da Stresa per cogliere lo spirito di Rosmini. Qual è la missione oggi del Centro?
Dopo l’assoluzione delle condanne ecclesiastiche sul pensiero di Rosmini e il riconoscimento ufficiale dello spessore e dell’originalità di questo pensiero, il Centro si sente maturo per una missione ulteriore: portare il nome di Rosmini tra i centri culturali di eccellenza laici ed ecclesiastici, in modo che il suo pensiero circoli liberamente e si possa confrontare con i grandi del pensiero di tutti i tempi.
La sua beatificazione, inoltre, ci spinge a una maggiore promozione di quella “santità illuminata” che costituisce uno dei pregi della rosminiana scuola di santità. Nei primi 50 anni di vita del Centro rosminiano la missione era quella di restituire a Rosmini la sua originaria carta di identità. Ora che il passaporto è quello giusto, si tratta di farlo conoscere.
Quanto è importante oggi come allora farsi promotori per il mondo di un pensiero vigile ai segni dei tempi?
Promuovere una dottrina filosofica, teologica e ascetica come quella del beato Rosmini diventa un servizio utile molto prezioso, soprattutto in un momento, quale è il nostro, di oscuramento dei principi filosofici e morali. È un servizio che Rosmini chiamava di carità intellettuale: aiutare la coscienza dei nostri contemporanei a recuperare il senso globale e trascendentale dell’esistenza di ogni individuo. Restituire a ogni persona la dignità che le viene dall’essere immagine di Dio.
Qual è l’eredità di Antonio Rosmini oggi? Il suo pensiero quanto resta attuale?
Antonio Rosmini ci ha lasciato un centinaio di grossi volumi, nei quali il cristiano di oggi può trovare una specie di summa totius christianitatis, cioè una dottrina enciclopedica, che egli in gran parte riprende dal patrimonio della tradizione e in parte rinnova leggendo i segni dei tempi.
La sua grande fatica fu quella di raccogliere le novità sane presenti nel pensiero moderno e di dar loro un orientamento che non solo non si scontra con la fede, ma che trova nella fede il suo compimento e la sua perfezione.
Il tema generale del corso dei Simposi rosminiani di quest’anno ricalca quello del primo corso del 1967. Anche allora si parlava di pluralismo filosofico e teologico. Quale può essere oggi il contributo dei Rosminiani alla ricerca di ciò che ci unisce rispetto a ciò che ci divide?
Dopo il Vaticano II l’attenzione della Chiesa verso le altre religioni si è spostata più su ciò che unisce che su ciò che divide.
Con questo corso il Centro rosminiano desidera portare un contributo alla ricerca dei principi comuni che stanno al fondo di ogni atteggiamento religioso. I semi del Verbo, in questo contesto, sono tutte quelle verità o frammenti di verità presenti nelle religioni diverse dalla nostra.
Dove si trovano delle verità uguali alle nostre, là in qualche modo è presente il Verbo, anche se il contesto in cui queste verità sono inserite talvolta lo rende nascosto.
La Chiesa, che è madre della verità, ha il dovere di accogliere queste verità che, in quanto tali, costituiscono semi del Verbo. Cristo infatti disse di se stesso: “Io sono la verità”.
I corsi dei “Simposi rosminiani” rispondono al relativismo e al nichilismo con il pluralismo, che accetta le distinzioni e le fragilità, ma le fa sorgere da un fondo comune e le convoglia verso un fine ultimo, col metodo della charitas di matrice cristiana. È una sfida che può risultare vincente nel mondo travagliato di oggi?
Il relativismo, nelle culture, è espressione di pigrizia: ci si accontenta dei pezzettini di senso e per buonismo si dà un po’ di ragione a tutti. Il nichilismo, a sua volta, è espressione di stanchezza e confessione di rassegnazione: la sua tendenza cresce nelle culture in declino.
Il pluralismo invece è espressione di uno spirito dinamico, che crede nella comunione e nel raggiungimento dell’unione. Se condotto avanti correttamente, inizia con un forte riconoscimento della giustizia, ovunque essa è presente, e culmina nell’amore o carità, che sta, come dice san Paolo, al di sopra di tutto.
Rosmini insegna a coltivarlo con fiducia, usando i due mezzi della libertà del filosofare e della conciliazione delle sentenze.