«Desidero partire da quanto ho sentito dire da un contadino: “Monsignor Romero ha detto la verità. Ha difeso noi poveri, per questo lo hanno ucciso”». È condensata in questa frase il senso del libro Romero, martire di Cristo e degli oppressi (Editrice Missionaria Italiana, in libreria dal 20 marzo) a firma di Jon Sobrino, gesuita spagnolo, tra i più noti teologi del mondo, già amico e stretto collaboratore in campo teologico del vescovo-martire salvadoregno che papa Francesco ha deciso di beatificare a 35 anni dalla sua uccisione mentre stava celebrando messa (24 marzo 1980).
Nel volume Sobrino (lui stesso a rischio di martirio: scampò per caso agli squadroni della morte che nel 1989 all’Università Centroamericana di San Salvador uccisero 6 gesuiti e 2 domestiche) traccia il suo personale profilo di Romero insieme ad una densa riflessione teologica sul ministero episcopale del monseñor: «Per la sua fede in Dio egli è stato difensore della vita e specialmente della vita dei poveri».
Sobrino riferisce poi due aneddoti importanti. Quando nel 1979, all’assemblea di Puebla dei vescovi latinoamericani, Óscar Romero incontrò Leonardo Boff, uno dei teologi della liberazione più in vista, gli confidò: «Nel mio Paese si uccide orribilmente. È necessario difendere quel minimo che è il massimo dono di Dio: la vita».
Inoltre, rivela l’ultima lettera che Romero scrisse, il giorno stesso della sua uccisione, indirizzata a dom Pedro Casaldáliga, il vescovo di São Félix, in Brasile, noto per il suo grande impegno sociale: «La sua calorosa adesione – scriveva Romero – incoraggia considerevolmente la fedeltà alla nostra missione di continuare a essere espressione delle speranze e angosce dei poveri, felici di correre come Gesù gli stessi rischi, per identificarci con la causa dei derelitti».
Infine, a sorpresa, Sobrino – che nel 2007 è stato «censurato» della Congregazione per la dottrina della fede per alcuni suoi saggi cristologici – afferma che Giovanni Paolo II (considerato da alcuni insensibile alla causa di Romero) difese e sostenne l’arcivescovo di San Salvador: «Romero tornò soddisfatto dalla sua seconda visita a Giovanni Paolo II, mentre invece la prima, come dice nel suo diario, l’aveva lasciato triste e deluso perché il papa, che sembrava male informato, non l’aveva compreso bene. A mio parere Giovanni Paolo II ebbe un’evoluzione nell’apprezzamento di monsignor Romero, finché giunse a lodarlo pubblicamente come pastore e martire che aveva dato la vita per amore di Dio e dei suoi fratelli. […] Da quanto ho sentito, Giovanni Paolo II lo considerava un vero martire».