Link: https://www.chiesadimilano.it/news/arte-cultura/quel-paradiso-perduto-in-pasolini-32502.html
Sirio 09 - 15 dicembre 2024
Share

Anniversario

Quel “paradiso perduto” in Pasolini

Un ricordo dell'intellettuale italiano a 40 anni dalla tragica morte. La sua difesa degli ultimi, il suo interesse per il cristianesimo evangelico, la denuncia, tremendamente attuale, della criminale commistione fra politica e affari...

di Marco TESTI

3 Novembre 2015

“Su tutto puoi scavare, tempo: speranze// passioni. Ma non su queste forme/ pure della vita… Si riduce/ ad esse l’uomo, quando colme// siano esperienza e fiducia/ nel mondo… Ah giorni di Rebibbia,/ che io credevo perso in una luce// di necessità, e che ora so così liberi!”.

Non c’è niente da fare. Comunque la si veda, la questione del Pasolini intellettuale, a esattamente quarant’anni dalla sua tragica fine, non può prescindere dal prima del tempo che significa anche prima della storia. E ci sono stati diversi big bang nella sua concezione della storia, descritti puntualmente, con la fedeltà di un trattato di fisica quantistica, nel corso della sua opera. Nelle “Ceneri di Gramsci”, uscito nel 1957, da cui è tratta la citazione iniziale si trova la conferma di questo scientifico (nel senso nobile di umile approccio con qualcosa che si rivela diverso ai nostri occhi limitati) sguardo alla realtà dei Cinquanta italiani; sì, vi è qualcosa di inspiegabile e originario che viene prima e che noi talvolta ricerchiamo nelle nostre strade, ma c’è anche chi ha tentato di descrivere la storia per cambiarla nel qui e nell’ora: “Marx o Gobetti, Gramsci o Croce,/ furono vivi nelle vive esperienze”.

Dunque Pasolini era cosciente che non può esistere la medicina capace di guarire l’uomo dai mali del suo cammino, ma che in ogni tempo si manifestano tentativi (legati a quel loro tempo, e perciò viziati dalla inevitabile distorsione prospettica) di interpretare e migliorare la storia. La finale, radicale invettiva contro la società dei consumi e della omologazione che trova i suoi finali esiti in “Petrolio” e in “Salò” ha tra le sue cause la perdita della speranza nella possibilità etica della società. La globalizzazione è solo una conseguenza di ciò che lo scrittore-regista aveva iniziato a vedere: la fine delle individualità, che oggi noi ci accorgiamo essere anche fine delle identità etniche, religiose, culturali. Il riferimento a de Sade, all’ultima fase del fascismo, alla schizofrenia eros-sesso parla anche della capacità dei consumi, che per la verità ha sempre abitato la storia, di separare per comandare (il mai passato di moda “divide et impera”).

Non solo separazioni etniche e familiari, che ci sono purtroppo presentate da secoli nel conto della storia, ma stavolta psichiche. L’eros ha già conosciuto scissioni che hanno portato ad un innaturale allontanamento tra attrazione, psichica oltre che fisica, e sessualità, diventata fine a se stessa e allontanata da qualsiasi comunicazione. Non quindi semplicemente una visione materialistica ed edonistica del sesso, ma una sua radicale separazione dal rispetto che si ha per l’altro.

La lettura (ma anche la denuncia) del sesso presentata da Pasolini immediatamente a ridosso della sua uccisione è una visione infernale (e i riferimenti a Dante non mancano in “Petrolio”) di una fisicità rubata all’identità, all’intelligenza, all’amore, alla stessa sessualità, per diventare merce, godimento masturbatorio e narcisistico, delirio di trasgressione, sfida alla vita e alla morte in un ultimo disperato tentativo di mettere l’infelicità e il nulla come nuovi dèi di uno spaventoso santuario. Il paese friulano era un richiamo, solo un richiamo, è vero. Così come Rebibbia e le sue catapecchie. E via così, i ragazzi di strada, sorta di angeli caduti, così come Claudel aveva letto Rimbaud.

C’era sempre un paradiso perduto in Pasolini, memoria inconsapevole di altro, che poteva essere solo richiamato dalla comunicazione a-logica della poesia. Da questo punto di vista la militanza comunista e una sua visione del cristianesimo evangelico, la teoria marxista della cultura come sovrastruttura e la necessità assoluta di scrivere, che in questo caso è, a dispetto del comunismo, strutturale, non sono che una parte di un tutto contraddittorio, per alcuni.

Ma Pasolini aveva di fronte a sé la contraddittorietà della realtà, e questo gli spiegava molte cose. Se la scienza ha dovuto dismettere gli abiti paludati della assoluta oggettività – lo ha dovuto fare anche certo marxismo “magico” – figuriamoci l’irrazionale affaccendarsi di miliardi di persone. Ad un certo punto lesse – ma poteva essere semplicemente una tappa del suo pensiero – come inarrestabile la deriva sociale e politica del nostro Paese, perché aveva scoperto molti trucchi e molte parole magiche che venivano usate al contrario. E soprattutto la contaminazione tra politica, malaffare e poteri occulti.