Tutti conoscono la parola Shoah, pochi Porrajmos o divoramento, sterminio, eliminazione del popolo Rom. Insieme agli ebrei più di 500mila Rom, provenienti da tutta l’Europa, furono sterminati nei lager nazisti.
«Io suonavo il violino ad Auschwitz mentre uccidevano tutti gli ebrei». Sono le parole di una famosa canzone degli anni ’70. Ad Auschwitz, mentre i deportati scendevano dai vagoni in preda al terrore, i violinisti delle orchestrine Rom venivano obbligati a suonare durante il macabro arrivo. La musica accompagnava le orribili esecuzioni di internati ribelli che avvenivano dopo lo snervante "appelplatz". Un rituale che durava ore con qualsiasi condizione di pioggia, vento gelido, neve, caldo torrido.
Piero Terracina, ebreo scampato allo sterminio, ricorda la presenza dei Rom nel campo di Birkenau. «Lo Zigeuner lager (campo AIIE di Birkenau) era a fianco del campo AIID dove ero rinchiuso: Eravamo separati dal filo spinato dove passava la corrente ad alta tensione, quindi non potevamo avere un rapporto diretto».
«Il campo dove ero rinchiuso era un campo di soli uomini – racconta ancora Terracina -. Nello Zigeuner lager invece vivevano famiglie al completo con tanti bambini alcuni dei quali certamente erano nati in quel luogo. Il campo degli zingari mi sembrava un oasi felice rispetto a quello dove ero io se non altro per la presenza dei bambini. Il ricordo che ho è quello del loro sterminio nella notte del 2 agosto 1944 quando le SS mandarono tutti a morire nelle camere a gas. Fu un fatto atroce, anche per noi che vivevamo in mezzo alla morte e che sapevamo di non avere speranze di uscire vivi. Non avevo nessun contatto con i Rom, ma penso che non ci fossero contatti tra un campo e l’altro. Anche nel lavoro non ho mai incontrato dei Rom».
In Italia le leggi razziali del 1938 non colpirono solo gli ebrei ma anche i Rom. Dall’Italia furono internati per la Germania più Rom (25.000) che ebrei (7000).
Al campo di concentramento di San Bernardino dopo gli ebrei «furono internate grandi famiglie di zingari. Qualche hanno fa è stato possibile rintracciare due Rom deportati a San Bernardino, Tomo Bogdan e Milka Goman. Il 27 gennaio 2005, il sindaco di Agnone Gelsomino De Vita, ha chiesto scusa a questi superstiti a nome di tutto il paese» ( E. Tevi, Agnone, ebrei e rom, Avvenire, 9 gennaio 2011).
Jovica Jovic, musicista Rom, ha avuto l’intera famiglia internata ad Auschwitz dove morirono il nonno e lo zio. «È difficile parlare – dice Jovica – di questa atrocità subita dal popolo Rom. Qualcuno parla di memoria, ma non la sente! La memoria si deve sentire». Nel Giorno della Memoria Jovica suona al binario 21 della stazione Centrale da dove partivano i convogli di ebrei per i lager. «Da questo binario – dice Jovica – ho sempre suonato la canzone rimasta quale testamento di mio padre prigioniero ad Auschwitz. Il testo dice di non dimenticarci, anche se rimanesse una sola persona che cerca la nostra storia, il nostro sangue, la nostra verità».
Il ricordo dei genitori è ancora doloroso. «Hanno vissuto – continua Jovica – e sopportato l’inferno del nazismo e del fascismo.La nostra memoria è la musica. Questo ci ha lasciato Auschwitz. In Germania furono deportati i Rom provenienti da tutta Europa e sapevano che sarebbero stati uccisi. Erano rinchiusi con tutta la famiglia. Questa è la nostra memoria. I sopravvissuti suonano non con gli spartiti musicali ma con il cuore».
Per la tragedia degli ebrei si è trovata la parola Olocausto, per quella dei Rom il termine Porrajmos, che però non piace a Jovica. «Il termine esatto – commenta Jovica – da adoperare sarebbe baro mundarimos le manuchengo, che significa “grande (baro) omicidio totale (mundarimos) dell’umanità (le manuchengo)”. Si poteva dire anche le romengo, in questo caso si sarebbero ricordate solo le vittime Rom, con manuchengo si ricordano anche gli ebrei, gli omosessuali e i testimoni di Geova».
Rebecca Covaciu, giovane Rom pittrice, scrittrice e studentessa al liceo Boccioni di Milano, ogni volta che rievoca la tragedia del Porrajmos senta una ferita nel cuore. «Quei violinisti che suonavano – dice Rebecca – mi trasmettono la sensazione dell’anima che avevano questi artisti».
È convinta che bisogna far conoscere maggiormente questa tragedia perché si lega non solo «al momento più tragico – continua Rebecca – del popolo Rom, ma anche agli ebrei che erano nei campi di concentramento. Purtroppo il popolo Rom non viene ricordato come lo è giustamente quello ebraico». «Per questo – conclude Rebecca – questa tragedia può essere ricordata non con la rabbia, ma anche attraverso l’arte, la musica e la poesia. Credo sia il modo più bello. Sappiamo che il popolo Rom è pacifico. Sono orgogliosa e fiera del mio popolo che non ha mai fatto una guerra. Attraverso la pittura, la musica e l’arte è possibile conoscere e parlare del popolo Rom».