«Non di solo pane… Dacci oggi il nostro pane». Si presenta con questo forte richiamo evangelico il padiglione della Santa Sede all’Expo di Milano. «L’allestimento interno del padiglione è pensato in modo da suscitare l’attenzione dei visitatori su alcuni aspetti e problemi, continuamente evidenziati da Papa Francesco», afferma monsignor Pasquale Iacobone, responsabile del Dipartimento Arte e fede del Pontificio Consiglio della Cultura, che affianca come vicecommissario (insieme a Luciano Gualzetti) il cardinale Gianfranco Ravasi a capo della Commissione della Santa Sede per l’Expo. Sulla parete di fondo si alterneranno due grandi opere d’arte sull’Ultima Cena, punto di riferimento essenziale per la proposta cristiana: la grande tela del Tintoretto, dalla chiesa di San Trovaso a Venezia, e un arazzo di Rubens, proveniente dal Museo diocesano di Ancona.
L’Ultima Cena di San Trovaso venne commissionata all’artista veneziano dalla Scuola del Sacramento congiuntamente alla Lavanda dei Piedi (oggi a Londra alla National Gallery) tra il 1561 e il 1562.
In questo dipinto Cristo e gli Apostoli sono raffigurati nel momento in cui, durante l’ultima cena, viene annunciato l’imminente tradimento. Gli elementi che compongono la scena, resa innovativa dalla prospettiva della mensa, mossa da una forza centripeta il cui fulcro è la figura del Cristo, sono scelti dal mondo del quotidiano, con un sapore di interno familiare: le sedie di paglia, la tavola così semplicemente imbandita, l’anziana donna che sale le scale sulla sinistra.
L’ambiente si apre sul fondo con un’architettura su una chiara sera, nella quale due figure profetiche ante gratiam incedono appaiate e trasparenti, inserendo nel quadro un elemento onirico, un tocco di atmosfera differente da quello ben delineato nel resto dell’opera.
Il tema dell’Ultima cena viene ripetutamente affrontato dal Tintoretto, fin dagli anni giovanili, dai dipinti in San Trovaso e in San Polo, realizzati a dieci anni di distanza, fino alla tela per la Sala Grande della Scuola di San Rocco, opera più tarda, eseguita tra il 1579 e il 1581.
In questa Ultima Cena dipinta da Tintoretto, si rileva innanzitutto la presenza, sulla destra, di uno sgabello con bisacce, libri, mantelli e bastoni da viaggio: sicuro richiamo alla Pasqua ebraica, ovvero al rito del banchetto consumato velocemente in piedi, che era praticato al tempo di Gesù in memoria del passaggio del Mar Rosso. La cena si connota quindi nella tela come risignificazione in chiave cristiana della Pasqua ebraica.
Giuda è stato correttamente identificato in colui che sta prendendo o più probabilmente poggiando (lo si comprende dal bicchiere già pieno) un fiasco di vino a terra. Il messaggio è chiaro, e apertamente polemico: Giuda è l’unico dei presenti a pretendere di comunicarsi sotto le due specie del pane e del vino, come all’epoca rivendicavano gli “eretici” d’Oltralpe.