L’Adorazione dei pastori di Rubens racchiude in sé tutte quelle prerogative che rendono eccezionale un’opera d’arte. In primo luogo la qualità altissima che esprime tutta la forza della pittura di Rubens in questa fase di prima maturità, ma anche la sua storia documentata che ci permette di seguire tutto l’iter dell’esecuzione, avvenuta in un tempo molto breve e quindi di getto, senza ripensamenti, correzioni, difficoltà. Una situazione davvero unica.
Il dipinto viene commissionato per la chiesa di S. Filippo Neri a Fermo nel 1608, ultimo anno di permanenza in Italia di Rubens. Rubens era in quei mesi a Roma, impegnato nella difficoltosa esecuzione della grandiosa pala dell’altare centrale della Chiesa Nuova, considerata una delle committenze più prestigiose.
Padre Flaminio Ricci stima e apprezza molto il giovane artista fiammingo e propone di affidare a lui l’esecuzione della Adorazione dei pastori, destinata alla chiesa dell’ordine dedicata a San Filippo Neri solo l’anno precedente. Il 9 marzo Rubens riceve l’acconto di 25 scudi e si impegna a realizzare una Natività di cui enumera i precisi dettagli, come del resto era allora consuetudine.
Il lavoro va avanti velocemente e il 7 giugno Ricci scrive ai padri di Fermo che il dipinto è ormai finito, in anticipo sui tempi previsti, a riprova di un’esecuzione di getto, particolarmente felice, nella quale Rubens manifesta tutta la sua esperienza maturata in Italia.
La memoria dell’opera nei secoli è stata tramandata soltanto da alcune antiche fonti locali, anche per la sua collocazione appartata ed è stata quindi ignorata dagli studi specifici sul pittore. Solo nel 1927 Roberto Longhi nel corso di una sua visita a Fermo riconobbe la mano indubitabile di Rubens e comunicò la sua scoperta descrivendo la sorpresa e l’entusiasmo di un tale imprevisto incontro.
La grande tela celebra uno dei momenti più intimi e suggestivi della Natività, secondo la narrazione del Vangelo (Luca 2, 8-16) con una composizione dipinta a luce notturna, densa di bagliori in cui si stagliano le monumentali figure della Vergine, chinata leggermente verso il Bambino su cui volge lo sguardo amorevole. Le sue mani si incrociano con grazia, con stupenda invenzione, a scoprire il piccolo corpo di Gesù, che rivela così ancora di più la luce abbagliante e chiarissima che investe tutta la composizione.
Una bellezza quella della Vergine, carnosa e marmorea eppure non fredda ma densa di pathos. L’influsso della scultura classica e in particolare del volto di Niobe, rinvenuta in una celebre scoperta archeologica a Roma nel 1583, appare evidente, ma, come sappiamo, per Rubens è un’ispirazione da cui partire per superarla poi in un’evocazione sempre vitale, declinata al presente.
San Giuseppe , dipinto di getto e con una materia più veloce e diluita, giunge le mani in preghiera e guarda verso l’alto, alla turba degli angeli che incombe quasi sulla scena. I pastori, dalle membra poderose attorniano il Bambino adorandolo, in atteggiamenti diversi che creano un senso ancora più vibrante nella composizione. Il pastore in piedi sulla sinistra, abbigliato con poveri panni scuri, risalta nella scena per il volto raggiunto dalla luce accecante che si irradia dal Bambino e da cui egli cerca di ripararsi con la grande mano sinistra, la destra intenta a reggere il bastone del gregge.
Al centro una vecchia rugosa con la testa coperta da un panno bianco, anch’essa raggiunta dalla luce chiara che attonita esprime la sua meraviglia con le mani aperte, dipinte con meravigliosa destrezza naturalistica.
Ma il vero protagonista è il pastore giovane in primissimo piano, inginocchiato, dalla abbagliante veste rossa, che indica con la sinistra la figura del Bambino, a sottolineare il fulcro della tela, di cui egli occupa tutta la parte sinistra. Anche per lui, figura centrale dell’opera, Rubens si è ispirato alla statuaria antica come rivela la maestosità delle membra e la bellezza del volto classico. In particolare possiamo proporre un inedito confronto con il rilievo romano degli Uffizi raffigurante Pastore seduto, proveniente dalle raccolte di Villa Medici, caratterizzato dalla bella testa poderosa e da una analoga posa con il ginocchio in primo piano e il lungo bastone nella mano.
Il rapporto con l’antico è per Rubens essenziale ma allo stesso tempo è disinvolto e personale, utilizzando i riferimenti in maniera sempre creativa, vitale e personalissima come precisa nella biografia dell’artista Bellori: “ Benché egli stimasse sommamente Raffaelle e l’antico, li alterava tanto con la sua maniera che non lasciava in esse forma o vestigio per riconoscerle”.
L’Adorazione dei pastori di Fermo conclude l’esperienza italiana di Rubens racchiudendone tutta l’energia creativa maturata in questi brevi ma intensi anni. Un capolavoro assoluto dunque, non soltanto un’opera eccezionale, ma anche il saluto o meglio l’addio all’Italia di Rubens che il 28 ottobre riparte per Anversa per non fare più ritorno nel nostro paese.
(Sintesi liberamente tratta dal saggio in catalogo di Anna Lo Bianco)