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Restauri

La Sacrestia Aquilonare, alle origini del Duomo di Milano

Dopo tre anni di lavori, che hanno aperto nuove piste di ricerca, la Veneranda Fabbrica svela al pubblico uno dei luoghi più significativi della cattedrale ambrosiana: dallo splendido portale scolpito del 1389 al pavimento intarsiato di marmi, fino alle volte affrescate da Camillo Procaccini dopo l'incendio del 1610. Un tesoro da riscoprire.

di Luca Frigerio

15 Dicembre 2021
Vele della Sacrestia Aquilonare dopo il restauro - © Giuseppe Malcangi

Il cuore del Duomo di Milano non è sulla sua guglia più alta, né nella cripta, e nemmeno nel presbiterio. Se vogliamo risalire alle origini della cattedrale ambrosiana, infatti, dobbiamo andare nelle sue sacrestie. E in particolare in quella settentrionale, ancora oggi nota con il poetico sinonimo di «aquilonare», che è stato il primo ambiente a essere costruito e decorato dopo la posa della prima pietra, nel 1386: la prima cappella, con il primo altare dove celebrare la messa e dove custodire l’eucaristia. Un luogo di grande importanza e significato, dunque, per la storia, l’arte e la fede del capoluogo lombardo. E che oggi veramente rinasce, dopo il completo restauro che ha interessato ogni sua parte: architettonica, scultorea, pittorica.

I restauri iniziati nel 2018
I lavori sono iniziati tre anni fa, con un programma già di per sé articolato e complesso, ma reso ancora più problematico dalle difficoltà insorte a causa della pandemia. I risultati di questo vasto intervento, comunque, appaiono di tale valore e portata da ripagare pienamente l’impegno della Veneranda Fabbrica, grazie anche alle nuove scoperte che hanno «rivoluzionato» quanto in passato si era ipotizzato riguardo alla storia più antica del Duomo di Milano, aprendo nuove ed entusiasmanti piste di ricerca. Un’emozione che oggi potrà essere condivisa da tutti i visitatori, attraverso specifici tour guidati alla scoperta della Sacrestia aquilonare che, fino al prossimo 29 gennaio, sono prenotabili sul sito www.duomomilano.it .

Il maestoso portale
Che questo sia uno spazio spettacolare, del resto, lo si capisce bene fin dall’ingresso, davvero monumentale. Il maestoso portale della sacrestia, infatti, è un capolavoro di Giacomo da Campione che, alla guida della sua bottega, vi lavorò nel 1389, realizzando quindi la più antica opera scultorea inserita nella costruzione della cattedrale. La lunetta presenta una scena solo apparentemente «tradizionale», con il Cristo attorniato dalla Madre e dal Battista: in realtà le figure presentano caratteristiche sorprendenti, come la fiaccola rovesciata impugnata dal Redentore; o la Vergine che stringe i suoi seni nel gesto di donare il «latte dell’amore»; e il Precursore, ancora, che offre egli stesso la testa che gli è stata tagliata. Nell’edicola superiore, invece, sormontata dalla cuspide architettonica, si sviluppa la gloria del Cristo incoronato, signore dell’universo, il cui trono è circondato da cherubini e dai santi venerati dalla Chiesa milanese.

Tracce di colore
I restauri hanno riportato alla luce le tracce di coloritura e di doratura delle superfici marmoree, così che il portale, in origine, doveva presentarsi come una sorta di gigantesca opera di oreficeria; o, se si preferisce, come una macroscopica e tridimensionale miniatura, caratterizzata da un’autentica esuberanza cromatica. In effetti la parte pittorica fu affidata a Giovannino de’ Grassi: scultore, architetto e collega «ingegnere» di Giacomo da Campione agli esordi del Duomo, ma soprattutto straordinario pittore e miniatore, che sui pilastrini delle gugliette dipinse, a coppie, figure di santi e di sante, anch’esse ora ben evidenziate dall’intervento appena ultimato.

Il pavimento a intarsi marmorei
Lo spazioso interno della sacrestia aquilonare, nonostante i rimaneggiamenti effettuati nel corso dei secoli, conserva ancora l’originario impianto gotico e anzi si presenta quale «laboratorio» del nascente Duomo, dove cioè vennero adottati per la prima volta quegli stessi moduli architettonici che furono poi estesi all’intero edificio. Allo stesso modo, la porzione di una monumentale quadrifora in cotto, che in passato era considerata la testimonianza di una partenza in stile «lombardo» della nuova cattedrale, in seguito a queste ultimissime indagini è stata invece ricondotta ad edifici preesistenti: proprio qui infatti, sorgeva, l’antichissimo battistero di Santo Stefano, poi trasformato in chiesa, dove fu battezzato lo stesso sant’Ambrogio. Il restauro, inoltre, ha interessato anche il bellissimo pavimento a intarsi (con il marmo bianco e rosato di Candoglia, quello nero di Varenna e quello rosso di Arzo), dove prevale il simbolo della stella di David a sei punte.

Gli affreschi del Seicento
E ancora non è finita. Perché, alzando lo sguardo e salendo sui ponteggi ancora montati, i visitatori oggi potranno finalmente ammirare una meraviglia negletta, ovvero le pitture che ornano gli spicchi della volta della sacrestia: vigorose e sgargianti figure di angeli che recano ognuna degli oggetti legati alla celebrazione della messa, quindi in piena consonanza con la funzione di questo ambiente. Sono un capolavoro di Camillo Procaccini letteralmente da riscoprire, realizzati su indicazione del cardinale Federico Borromeo stesso all’indomani del terribile incendio della notte di Natale del 1610, nell’ambito dei lavori di ristrutturazione. A conferma, ancora una volta, che dopo ogni dramma, davvero può rinascere la bellezza.